Lorenzo Veniero
LA ZAFFETTA
NOTICE SUR LA ZAFFETTA
La Zaffetta est un poème satirique composé de cent quatorze stances non numérotées, de huit vers chacune, et dont le sujet est le récit d'une aventure, le châtiment infligé à une courtisane de Venise nommée Angela.
Le titre du poème, - la Zaffetta, - est dérivé du mot Zaffo, qui en dialecte vénitien signifie sbire. C'est le surnom que l'on donnait à cette courtisane, fille d'un sbire
L'auteur de cet opuscule est Lorenzo Veniero, noble Vénitien, qui, en le commençant, déclare l'entreprendre pour prouver qu'il est également l'auteur de la Puttana errante, autre poème satirique que l'on attribuait faussement à Pietro Aretino, et qu'il faut bien se garder de confondre, comme l'ont fait plusieurs bibliographes, avec un dialogue en prose portant exactement le même titre.
Les bibliographes ne sont pas d'accord relativement au lieu d'impression et à la date de ce livre; la plupart cependant indiquent Venise, 1531.
Quant au châtiment
(Le Trente et un) qui fait le sujet du poème de la Zaffetta, il paraît
qu'il était assez fréquemment usité en Italie, puisqu'il donna naissance à
plusieurs mots qui restèrent dans la langue italienne. En effet, outre les
expressions trentuno, trentone, du poème, nous trouvons dans le Dictionnaire
italien-français de Nathaniel Duez le mot trentuniere, pour désigner
celui ou celle qui est l'agent ou l'objet du trentuno.
Pour se venger de l'infidélité de sa maîtresse, courtisane renommée, un
gentilhomme la fait conduire à la Chioggia et organise un viol collectif,
qu'aujourd'hui l'on qualifierait de "tournante".
LA ZAFFETTA Poi ch'ogni bestia in volgar e in latino, Con giudicio di pecora ignorante, Ciancia che 'l famosissimo Aretino Hammi composta la Puttana Errante, Per mentirgli dov'entra il pane e 'l
vino, Et per chiarir ch'un furfante è furfante, Vengo à cantar si come la Zaffetta Ne l'utriusque à Chioggia hebbe la
stretta. Che bisogna stupir, goffi, se io Ho in un tratto lo stil fatto famoso? Un'Aretin, mezz'huomo et mezzo Dio, Mi presta il favor suo miracoloso. Chi vuol in ciel balzar per chiamar Clio, Vuol guarir in un di del mal francioso. Invochi l'Aretin, vero propheta, Chi si vol far, come son io, poeta. Non v'arrossate, buffalacci buoi, À dir che 'l mastro di color che sanno, Spenda à mio nome glialti studi suoi, Com'i pedanti à suoi scholari fanno. Puo far San Pier che non ci sia fra voi Plebei tanto d'ingegno co 'l mal'anno, Che discerna l'orina da l'inchiostro, E 'l priapesco uccel dal pater nostro. Se l'Aretin la mia Puttana havesse Composta, come dite, babuassi, Credete voi ch'altro suon non tenesse, Altri soprani et altri contrabassi. Le rime sue parebbono pappesse, Et i suoi versi parebbon pappassi; Et poi Pietro, al mio dir ferma colonna, Mai non ha visto camiscia di donna. Ma dir potreste: Ei t'ha forse aiutato À finir l'opra, a cio sia l'opra eterna. Dico di non, perch'io non son sfacciato, Com'è 'l ghiotton presontuoso Berna, Che per haver Orlando sconcaccato Con rimaccie da banche et da taverna, Il nome suo ci ha scarpellato sopra, Come se del furfante fusse l'opra. Ma torniamo à l'Errante e à le cicale, Che 'n giudicar si menano l'agresto, Et hanno nel cervello manco sale Che d'un'infermo non ha 'l polo pesto. I l'ho fatt'io col proprio naturale, Et perche vi chiarite presto presto, Non havendo per hora altra facenda, De la Zaffetta canto la leggenda. Per due cagion, Zaffetta, in stil divino Vengo à cantar l'historia de tuoi fatti: Una per dimostrar che l'Aretino I versi de l'Errante non m'ha fatti; L'altra, ch'in far piacer son si latino, Ch'è forza contentar parecchi matti, Che mi stringono à dir in nova foggia Di quel trentun che ti fu fatto à
Chioggia. Dio 'l sa, Signora, che mi dolse e dole Il trentun vostro, perch'i v'amo e adoro. Ma chi manca à gliamici di parole, Manco gli impresteria gli scudi d'oro. Voi pur sapete s'un chiavar vi vole, Ch'ei pur vi chiava et nel fesso et nel
foro. Dunque che poss'io far, se vole ognuno Ch'io canta la novella del trentuno? Angela mia, dovete ben sapere Ch'ogni Diva ha 'l trentuno o 'l mal
francese, O tardi, o presto, ad ogni modo havere, Che 'l veggia et sappia ognun chiaro et
palese. Circa il trentun, con poco dispiacere Sete uscita d'affanni à vostre spese. Hor venghin via le bole, a cio che voi Non stiate piu in pensier, co fatti suoi. Et io, Signora Angela Zaffa, intanto Che 'l mal francioso occulto scoprirete, Di voi 'l trentun, qual vangelista,
canto; Et s'io punt'erro, mi corregerete, Perche 'l fatto v'è noto tutto quanto; Et meglio tutto à mente lo sapete, Che non sa la Zaffetta, al trentun corsa, Cavar l'anima e 'l core d'ogni borsa. Puttane ladre, che vi disdegnate Tener un gentil'huom per vostro amante, D'un gentil'huomo un'arlasso ascoltate Fatto à una gentil porca galante, C'ha privilegio fra le nominate, Qual fra le vacche la Puttana Errante, Et finir senza dubbio vi prometto, Come ch'i ho, quel ch'io vo dirvi, detto. Signor, sono in Venetia, gratia Dei, Tre legioni o quattro di puttane, Ruine de patritii et de plebei, Parte in gran case, parte in carampane; Ma fra tante migliaia un cinque o sei, Per forza di belletti e d'ambracane, Copron si lor bruttezza stomacosa, Che le poltrone paion qualche cosa. Fra queste poche ce n'è una sola Che tiensi prima in la fottuta setta. Non è la Griffa, non è la Bigola, Che le parole profuma e belletta. Aiutatemi à scioglier la parola; La sua altezza ha nome la Zaffetta, Che si tien nata di sangue reale, Poi che patrigno l'è Borrin bestiale. Conta talhor la sua geneologia, Et fassi figlia del Procuratore Da ca Grimani, ch'à sua madre ria Gia fece a ch'ell'è dentro, a ch'ell'è
fuore. Ma viemmi grizzol ne la fantasia Di cantar puntalmente in bel tenore Il suo grado in minoribus, et come C'ha guadagnato il puttanesco nome. No 'l vo dir no, perche de le puttane Sempre giostran del par, principio e
fine. Cominciano a grandirsi con un pane, Et con un pan finiscon le meschine. Basta che la Zaffetta è d'ambracane, Di seta e d'or, e in pompe alte e divine, Non sua virtu, non sua bellezza o gratia, Ch'ella nascendo nacque la disgratia. Il caso del suo grande et ladro stato, Che i nostri gentiluomini ogn'hor soia, Da una sorte di corrivi è nato, Che per morbezza, per garra et per foia, Cercando haver l'un l'altro superato, À questa Arpia, ch'à chi piu l'ama
annoia, Han dato senza merito à diletto L'anima e i soldi, à lor marcio dispetto. Perdonatemi, giovani; l'amore Ch'io vi porto fa dirmi cio ch'io dico. Sapete ben ch'io vi son servitore, Non pur compagno, fratello et amico. Poi ne la lingua i ho quel c'ho nel core; Io l'ho detto, et di novo lo ridico: Le vostre garre, et non gratia o
bellezza, Hanvi abbassati, et lei post'in altezza. Hora ch'accade? la Zaffetta Diva, Diciam bella, gratiata et virtuosa, Poi ch'ella del cervello e danar priva Ciascun con la sua faccia artificiosa, Fra l'incazzita sua gran comitiva, Havea un'amante, ch'è si gentil cosa, Pieno di leggiadria e cortesia; Et se non fosse 'l ver, non lo diria. Il gentil gentilhuom prodigo amante Sendo fatto di lei, per sorte rea, Le stava sempre servitore inante, Com'ella fosse non Zaffa, ma Dea. Si che pensi ciascun se la furfante Honestamente rubbava e chiedea. Perdio, c'han piu discrete e honeste mani Cingani, marioi, giudei, marrani. Gran cosa è à dir che l'avaritia stringa Una puttana si ch'un soldo, un bezzo, Un guanto vecchio, un puntal, una
stringa, O s'altra cosa c'è di minor prezzo, Con parlar che tradisce et che lusinga, Ti rubba sempre, et ha talmente avezzo L'appetito à far trar, che nel bordello, Dove son'esse, mandan questo e quello. Il giovane gentil, che forte amava, Pur che trovasse fede in la Zaffetta, Lo spender da par suo manco curava, Ch'un cavallar di far una staffetta. Ma non ste molto questa Zaffa fava, Ch'un'arlasso gli fe, come la setta De le porche poltrone ognhor far sole À chi piu dalle, a chi piu ben le vole. Ogni cosa si puo facil soffrire. Servitu e danari son niente. (sic) Ma questo puttanesco ognhor tradire È quel ch'uccide l'amorosa gente. Credi sta notte con la Dea poltrire, Et trovi un'altro tuo luoghotenente. Brava, frappa à tua posta, amazza e
squarta, Ch'à coda ritta è forza che ti parta. Non fe 'l giovin gentil frappe o rumori, Al corpo, al sangue, vacca, slandra,
ladra, Ne con spada ò baston sfogò gliamori, Anzi dopo l'arlasso in mente squadra Di vendicarsi, onde doppio i favori À la Signora, e dandole la quadra, Piu che mai la presenta e la corteggia, Acio che 'l suo pensier dentro non
veggia. Passati alquanti di, comincia à dire Il gentil'huom: Quando vogliam, Signora, A Malamocco per solazzo gire, Poi che del darci piacer ne vien l'hora? Con puttanesco et temerario ardire Rispose la Madonna Angiola allhora: Al piacer vostro, tutta allegra e altera, Ma che torniamo à Venetia la sera. À l'ordin dar non fu zoppo ne tardo L'amante da le soie assassinato; Ma con un dolce piacevol riguardo Duo giovin gentilhuomini ha chiamato: Un manda à Chioggia, che la cena al tardo In punto metta; et l'altro, spensierato, Buon compagno al possibile e da bene, Seco per gir con la Signora tiene. Poi che 'l giorno e l'hora e 'l punto
venne Che far le nozze dovea la novizza, Preparossi una gondola solenne, Ch'in due vogate mezzo miglio sguizza; La qual à Malamocco il camin tenne, Portando allegra l'angelica chizza, Che fea col suo moroso un gran contrasto Per voler gir, come sposa, sul trasto. Come fu giunta questa meretrice À Malamocco in gran reputatione, Vezzosamente soghignando dice: Ecci, ben mio, da far collatione? Et veggendo fumar una pernice, Quella grappò e inghiotti in un boccone, E in men che non si dice Ave Maria, Traccano gotti sei di malvagia. Buon pro, Madonna, dice la brigata; Et ella ride e gliamorosi soia, Et con quella sua gratia disgratiata Petegolando, sempre ha in bocca moia; E à questo e à quello ha la barba tirata, Per favorirli, e con spiacevol noia Conta le sue grandezze, et narra come Di Zaffetta acquisto con l'opre il nome. E facendole buon cio ch'ella parla, In gondola torno la compagnia. La cicalaccia riscaldata ciarla Pur de le sue grandezze tutta via. In tanto à Chioggia comincio aviarla La barca instrutta à quel ch'à far havia. Ell'attende al suo dire, e vol trovare, Fra duo di, una casa da suo pare. Voglio, dicea la gloriosa alfana, Che voi morosi mi facciate havere Per sempre à fitto la ca Loredana, Se non mi moriro di dispiacere. Poi comincio à cantar una pavana, Che gia la casa le parea godere. Vol comprare spalliere e razzi eletti; Vol far di seta e d'or cinque o sei
letti. Poi entra à dir di certi caveoni, O capo fuochi, che dica 'l Petrarca. Gli vuol d'argento, che sian belli e
buoni. Vol sei massare, un ragazzo, una barca. Vol de contadi le sue provigioni, In canua vin, sempre farina in l'arca, E al fin vol tante cose la Borrina, Che non n'hebbe mai tante una Regina. Con questi suoi giardin, fatti à sua
foggia, Confermati dal suo sagace amante, Si ritrovo sua maestade à Chioggia, Et sbigotti quando l'apparse inante, Dicendo: Mia persona non alloggia Sta sera qui: va, barcaruolo, avante; Gira, poltron (diss'ella); et piange e
arrabbia, Ma patientia è pur forza al fin
ch'ell'habbia. Anima mia, speranza, figlia mia, Caro sangue, ben mio, dolce mia vita, Dicea il suo moroso in voce pia, Da me non fate sta sera partita. Cio ch'i ho, Angioletta, vostro sia; Con voi la robba mia non è partita. Chiedete pur, non habbiate vergogna, Che chi per voi brama di far non sogna. Non puote allhor tenersi la puttana Di non ghignar, mentre facea cordoglio, Quando senti la proferta che spiana Di darle il tutto, et disse presto: I
voglio Di restagno et veluto una sottana, Di quelle ch'à le feste portar soglio. Voglio una scuffia d'oro, e vo domane I vostri Pater nostri d'ambracane. La sottana, la scuffia, e i Pater nostri, L'Ave Marie, i Salmi et l'Orationi Havrete, figlia, pur c'hora si mostri Il vostro cor privo d'afflittioni, Rispose il gentil'huom: non de i par
vostri Amorosi di fava, Ser coglioni, Che da le puttanaccie sopportate Con mille villanie le bastonate. Hor ella smonta, e non s'accorge havere Dietro una barca, di fottenti piena. Corre la turba à furor per vedere La famosa Zaffetta d'error piena, Ch'indosso porta un mezzo profumiere. Parla da nimpha, e 'l passo move à pena. Hora su questo, hora su quel s'appoggia, Et vol parer l'Imperatrice à Chioggia. Il suo amante, che se ne traggea, Per farla andar piu di se stessa altera, Con voce da stupir pian le dicea: Voi sete di bellezza una lumiera. Hor fosse adesso qui Venere Dea, Che vedria 'l mondo chi ha miglior ciera; Poi soggionge: Madonna, un de vostri atti Questi Chioggiotti fa diventar matti. Con queste soie e berte profumate, Entraro i sotii, con sua Signoria, Dov'eran le vivande apparecchiate, Com'à gran gentilhuom si convenia; Et havendosi ognun le man lavate, À cena se n'entro la compagnia, E in capo di tavola s'assetta La puttana Illustrissima Zaffetta. Silentio à mensa, quando l'odor vola De gliarrosti per tutto; ella si tace. Con piene mani, piena bocca e gola Sol dice: Questo è buon, questo mi piace; Et chi l'havesse chiesta altra parola, Non era per haver seco mai pace. Mangia e bee senza freno, anzi divora, Et buon per me, ch'era à Venetia allhora. Venner l'ostreghe al fin, che tante e
tante Ne mangiò su' altezza, che ciascuno Grido misericordia, e haveva inante Le scorze, che l'apri tutto 'l communo. Ma che ciancie cont'io? Suo largo amante, Ch'ordinato ha l'historia del trentuno, Piglia per man l'Angiola per diletto Dicendo: Sangue mio, andiamo al letto. Andiam, rispose, con un'occhio chiuso E l'altro aperto, l'Angela divina, Ch'addormentata nel letto entro giuso, Non sapendo se gliè sera o mattina. Quel giovine gentil, che non er'uso Esser soiato da una fachina, Anch'egli in un balen fassi spogliare, Che vendicar si vuol, non vol chiavare. Pur trovandosi ritta la ventura Disse 'l Boccaccio, essendo buon
fottente, Havendogli ella volto per sciagura Il volto del seder solennemente, Ruppe due lancie, ciascuna piu dura, Poi al suo inanzi piu che mai valente Per dispreggio di lei venne à la volta, Et le fe quel servigio un'altra, volta. Quella musica dolce in tuono grave, In tenore, in soprano e in contrabasso, Che l'havea messo dirietro la chiave Nel suo B molle accettò per ispasso Cacciato il sonno da la Signor'have, Per cui sentia tutto 'l suo corpo lasso, E rivolta à l'amico disse: Dammi, Speranza, un bascio, e quella cosa fammi. Ei, c'ha preso la volpe et hormai vole De le malitie sue punirla presto, Rispose: Il corpo mi s'è mosso e dole, Anima mia, hor che vorra dir questo? E del letto esci, e senza piu, parole E 'l lume piglia, et va ratto, e par
mesto. Come la turba, che l'aspetta, il vide, Da compagnona smasselando ride. Dopo le risa, si conchiude ch'uno Gentil giovane vada à principiare Il meritato honorevol trentuno, Col qual s'ha la Zaffetta à disgradare, Hora 'l buon sotio senza indugio alcuno In camera entra, e comincia à cantare Con il Priapo in man sodo in un punto Questa canzone allegro in contrapunto: La vedovella, quando dorme sola, Lamentarsi di me non ha ragione... Quand'ode il suono d'una tal parola La traditrice di tante persone, Che piu fuggir non puo, s'ella non vola, Ne i capelli et negliocchi le man pone, Che ben s'accorge che 'l trentun vien
via, Per castigar la sua poltronaria. Eccoti il sotio, c'ha in mano un ferale, Che vol veder pur la Zaffetta in viso, Visto ch'ei l'ha, con bel parlar morale Disse: Signora, i vengo à darvi aviso Come sta notte un trentuno reale Quel che v'adora vuol darvi improviso; Et pregha, se non è qual meritate, Ch'accettando 'l buon cor gli perdoniate. Quand'ella sente la festa annontiarse, Al minacciar zaffesco à un tratto corre, Et vol del sangue di colui satiarse Che la verginita l'ardiva à torre. Con puttanesco pianto à humiliarse Comincia poi, perch'è savia, e discorre Che 'l gentilhuom secondo del trentuno Chiavato ha dietro Borrino et ognuno. Dicea la Zaffa borse à una Signora Ch'in Vinegia ciascun la prima tiene, Ch'è fanciullina e 'l latte ha in bocca
anchora, À dar questo trentun non fassi bene. Deh Dio! ah Dio! volete voi ch'io mora, Magnifico Messer dolce e da bene? Se sta notte salvate l'honor nostro, Questo dritto e riverso è tutto vostro. E duo sessi squinterna, in cui le frappe D'alcun che l'ama ogni vertu colloca. Ma 'l trenton, che le tocca e coscie e
chiappe, Disse ch'ell'ha carne di grua e d'oca, Riccamata di brozze, come cappe, E negre, e schiffe in morbidezza poca. Non puzza, no, perche caccia i fetori De la bocca et de i piei con mille odori. Il giovin nontio del trentun gentile, Ch'à la libera vive per natura, La conforta à far animo virile, Tal che la Zaffa stringhe, entra in
bravura, Et chiama un'atto di persona vile Chi vendetta di far con donne cura; Ond'ei, ch'entreria in colera con Dio, Disse: Voltati in la, potta di Dio. Voltassi in la col capo humile e basso Sua Signoria, et ei, drizzato 'l stocco, Dietro à la porta glie 'l messe per
spasso, Non da lussuria, ma da un grizzol tocco. E qui è, Signor, da notar un bel passo, Per cui à Chioggia invidia ha Malamocco. Non so s'è me' tacerlo o meglio dirlo, Ma serri gliocchi chi non vuole udirlo. Lo stocco di quel giovane ch'io dico, Essendo duro, parea proprio un sasso; L'ostreghe che 'nghiotti la Zaffa amico Andando vive pel suo corpo à spasso, A quello s'aggrappar con forte intrico. Sentendo questo il gentil'huomo, un passo Tirossi in dietro; e 'l stocco
dischiavato, D'ostreghe 'l vide tutto rìccamato. Et cosi, com'egli era, uscendo fuora, Il miracolo à i sotii mostro chiaro. Le risa che di cio fur fatte allhora, Non ve le contarebbe un calendaro; E mentre le reliquie la Signora Tenea scoperte, e facea pianto amaro, Eccoti un pescator pazzo e bestiale, Ch'un mezzo braccio ha lungo il
pastorale. Et senza dir: Cor mio, ne dar conforto, À lei s'aventa e la gran lancia arresta, E con un guardo villanesco e torto Le coscie l'apre, et incartolla à sesta. Grido la Zaffa: Matti, tu m'hai morto; E su la sponda inchinando la testa, Stette tanto in angoscia et in dolore, Che venne un'altro in cambio al
pescatore. Questo quarto à chiavarla parse à lei Pur pescator, ma di natura pia, E 'nginocchioni lanciosegli à i piei, Dicendo: Huomo da ben, chi tu ti sia, Se mi scampi di man de i farisei, Facendomi fuggir per qualche via, Queste gioie et catene vo donarti, Et diece e venti volte contentarti. Non voglio gioie, non voglio catene: Vo fotter, disse Marcon à la pace; Et voltatala in giuso con le schiene, La balestra scarco due volte in pace. Dopo costui un barcaruol ne viene, Che 'l chiavar di buon core piu gli
piace, Che la merenda non fa su la barca, Se bee senz'acqua al boccal vin di Marca. Mentre Ser barcaruol facea i suoi fatti, Ecco à la porta una quistione appare, De la camera dico, perche ratti I Chioggiotti son corsi per chiavare, Come su i coppi di Genaro i gatti Corron con incazzito imagolare; E la Zaffa barette ahime dicea, E 'l gentilhuom di fuor le rispondea: Madonna mia, il mondo è fatto à scale. Sempre non ride del ladro la moglie. À Chioggia scende chi à Venetia sale, E pur tallhor de le volpi si coglie. Voi rideste di me di carnevale, Quando ch'i havea del vostro amor le
doglie, Hor di quaresma io mi rido di voi, Et cosi pare il gioco va fra noi. Ah! crudele, ah! ingrato, ove, ove sono Le berte date à me, quando volevi L'arrosto, che parendoti ognhor buono: Dammelo, cara mammina, dicevi? Signor mio caro, io vi chieggio perdono, Et se mi concedete ch'io mi levi Questo trentun dadosso, che m'accora, Vi saro sempre schiava e servitora. Rispose il gentilhuom tradito: Adesso vien ampia commissione, C'havra il voto vostro esaudito. State col cor contrito in oratione. In questo, un c'havea, com'un romito, La conscientia senza discretione, Da traditor, da turco e da giudeo, L'apri con la sua chiave il culiseo. Con il carbon stava un, segnando al muro Tutte le botte ch'eran date à lei; Et quando à lei sei volte giunte furo, Grido colui ad alta voce: E sei. Vien via un'hortolan dal pinco duro, Dicendo: Tu la mia speranza sei; Et senz'altro prohemio compi presto La sua facenda, fatta in luogho honesto. E sette, gli dicea quel dal carbone. Ispacciatevi, giovani, c'ho fretta. Tocca la volta à un fante poltrone. Non uso à mangiar carne di capretta. Costui adosso in modo se le pone, Che vomitar fece à la poveretta Quel ch'ella 'l di mangio, poi cheto
cheto Le pianto il suo ravano di drieto. Numero otto gia nel muro appare. Ma qui ne vien il buon, comincia adesso, De la comedia il secondo atto appare. Esce in campo un fachin soffiando spesso, Che vuole un porro di dietro piantare À colei, ch'ogni cosa à sacco ha messo, Et senti tal dolceza il buon compagno, C'hebbe à morir sul buco, come 'l ragno. Levato in pie fece un salto da matto: Berghem, berghem, gridando à la fachina. Par proprio un gallo c'ha fatto quel
fatto À la sua bella morosa gallina, Che, smontato ch'egli è, scuotesi un
tratto, Canta una volta, et a beccar camina: Cosi 'l fachin, de lo sborrar satollo, A legar ritorno non so che collo. La Signora fottuta à capo basso Piangeva ad alta voce si dolente, C'havrebbe humiliato un Sathanasso, E un bulo in bizzaria fatto clemente. Dicea: Deh! perche 'l petto hor non mi
passo, Acio i non senta cianciar fra la gente, A San Marco, à i Frari, e da ciascuno, Ch'io degnamente n'abbia havuto 'l
trentuno? Hor sera pur contenta questa e quella, Invidiosa di mia buona sorte. Come 'l Venier lo sa, fara novella, Perch'aprir non gli volsi un di le porte. Gia ogni barcaruol di me favella, Et parmi udir da i putti gridar forte, Sul ponte di Rialto, a cio s'intenda: Chi vol de la Zaffetta la leggenda? Le lamentation di Geremia Volea seguir, quando giunser due frati, Dicendo: Chi è quello? Ave Maria, Vogliam, Signora, de vostri peccati Fornir di confessarvi, a cio non sia L'anima vostra scritta fra i dannati. Et l'uno et l'altro à la Zaffa divotta Cacciar dietro e dinanzi una carotta. Ma che vad'io contando ad uno ad uno? Eccoti che sforzata è pur la porta. Chioggia è venuta à furore, à communo, Per haver la sua parte de la torta. È fatto gia mescolanza d'ogniuno. Ciascuno di chiavarla si conforta, Et dadosso se l'è tolto uno a pena, Che l'altro è corso à farla trar di
schena. Havete visto la dal Vener Santo, Quando ch'ogni plebeo vuol confessarsi, Stare la turba su l'ali da canto, Ch'al confessor, come puo, vol lanciarsi: Cosi, mentre l'un chiava, l'altro intanto Sta desto, et vuol con la diva
attaccarsi. Son sempre cinque o sei c'hanno 'l pie
mosso, Ch'ognun prima vorria salirle adosso. Colui che col carbon segna le botte, Si presto che segnar le puo à fatica, Sendo passata piu che mezza notte, Disse: Brigata, e convien pur ch'io 'l
dica: Settanta nove lancie havete rotte Contra la vostra gagliarda nimica, Si che una botta sola à far ci resta, Et poi à Dio, che finita è la festa. L'ultima volta far volse un piovano, Ch'in chiavar monasteri ognialtro passa, Il qual fessi menar suo cane à mano, Poi la rivescia sopra d'una cassa, Et glie lo mette in la vulva e ne l'ano; Et stringendo 'l poltron la testa
abbassa, Perche 'l fetore ammorba il can gentile De l'oglio humano et de l'onto sottile. Un miro d'oglio e di buttiro havea In corpo la Zaffetta a pena viva, Il qual di dietro e dinanzi piovea Su i calcagni e su i piei con foggia
schiva. Onde 'l piovan per lo suo can chiedea Di quelle carezzine con che priva Sua Signoria i suoi morosi cari Di cervello, d'honore e di dinari. Ma perche 'l giorno ne vien à staffetta, Il gentilhuom che l'annontio 'l bel gioco In camera entra, et via caccia con fretta Il piovan goffo, gaglioffo e da poco; Poi con una sua dolce predichetta Riconforta Madonna Angiola un poco, Et le fa creder ch'un soverchio amore È stata la cagion d'un tanto errore. Havete (disse) voi persa la vita, Per ottanta con gratia chiavature? Hor sete voi la prima in cio fornita? Per tutto 'l mondo son de le sciagure. Ci havete obligo assai, sendone uscita Sana per tutto, benche grosse e dure Siano state le lancie ne la giostra, Eterna gloria à la Signoria vostra. L'Angela piange e dice: O sventurata, Come comparirai fra le persone? La mia grandezza in tutto è ruinata. Son'io da strapazzar con un trentone? Monaca mi vo far per disperata, Ne fin ch'io vivo piu farmi al balcone. Et cio dicendo il corpo le fa motto, Ond'ella ando sospirando al condotto. Nel render le borsette parse un frate, Che di minestre scaricasse 'l ventre, Et una squadra d'anime non nate, Convien che ne la bocca al condotto
entre, In mandragole, in rane trasformate, In scorpioni, in tarantole; e mentre Il suo bisogno al condotto facea, L'oglio favale per tutto correa. Col suspiramus lachrimarum valle Rivestissi levata dal condotto, Pregando il gentilhuom, con basse spalle, Che del trentuno suo non faccia motto. Il da ben sotio il giuramento dalle Che solamente dira che fur otto, Et cosi de fottenti il gran collegio Le fe la gratia, e dielle 'l privilegio. Poi trovossi una barca da melloni, E piantataci su sua Signoria, Fu menata à Venetia senza suoni Che l'havrian tratta la meninconia. Rimasti à Chioggia, quei compagni buoni Scrisser per ogni muro e in ogni via Come l'Angela Zaffa nel trent'uno, À i sei d'Aprile, habbia havuto 'l
trentuno. Hor la Zaffetta è giunta in casa, e
botta. Subbia, chiama e bestemmia in voci ladre. Di bastonar le massare borbotta, Onde l'aperse la riva sua madre, Et vedendo la figlia mal condotta, Chiama Borrino, suo addottivo padre, Et serrata la riva su le scale, Stramorti la puttana universale. Posta nel letto, d'aceto rosato Bagnati i polsi, et di fresche acque il
viso, Lo spirto mariol l'è ritornato; Et riguardando la sua madre in viso, Disse: Quel traditor, che m'ha menato A Chioggia, ch'ei sia arso et sia ucciso; Dar m'ha fatto un trentuno il traditore. Mio pare, i vo che gli mangiate 'l core. Quando la madre l'alza i panni, e vede Il suo quadro, e 'l suo tondo rosso, e
rossa, E l'uno e l'altro enfiato, certo crede In fra due hore andarsene in la fossa, Et con gran pianto il suo barbiero
chiede, Che venne presto, e sta in dubbio se
possa Guarirla o no, ma pur con certa ontione L'unghie 'l seder, e l'unghie 'l
pettiglione. Lo sbisao bestial Borrin feroce, Col pistolese in man, stringendo i denti, In portico spasseggia, e ad alta voce Dice mille: Vo farne mal contenti. Fa su le ditta il segno de la croce, Et su ci giura mille sacramenti Che vuol far diventar sangue il suo rio: Ah! poltron mondo! ah! benedetto, Dio! Gia per Venetia è 'l trentun divolgato. De la Zaffetta è pieno ogni bordello, Ne pur'un sol s'è in la cita trovato Che non esalti chi l'ha dato quello. In fino il buon compagno Gioan Donato, Et Lunardo da Pesar, buono e bello, Han caro ogni suo mal, perch'ella impari Con le soie à burlar con i suoi pari. Venner da Chioggia à Venetia di botto I mastri che punir la volser bene, Et per tutto notar numero otto, Poi ch'ottanta notar non si conviene, Che l'han promesso, e non l'havrebbon
rotto Il privilegio ch'ella appresso tiene; Et ciascun che lo legge benedice I mastri à castigar la meretrice. La Zaffetta ha serrato ogni balcone. In casa stassi, come fusse morta. Il suo rio non fa piu reputatione. Non apriria al Prencipe la porta. Non mangia o dorme; e trista in un
cantone S'è post'al scuro, et mai non si
conforta; Et quando che di Chioggia si ricorda, Si lascia cader giu come balorda. I Signor cinque e i capi de i sestieri, À cui n'ando la querela volando, Ridendo de i carnefici cristeri, Di far l'esecution la van soiando; Onde i terrieri e tutti i forestieri Del bene merto suo vanno parlando, Tal che per tutta Italia ognuno canta Numero otto, id est numero ottanta. L'Angela stassi peggio che romita In cordoglio, in silentio, sobbria e
casta. Passan sei giorni, è presso che guarita. Altro non dice, co i suspir, che: Basta. Gia la vergogna l'è di mente uscita. Non sentendosi piu ne i sessi guasta, Piu sfacciata che prima, ladra e ghiotta, In su 'l balcon fa la Regina Isotta. Forse che pensa diventar migliore, Non soiar, non tradire et non rubbare? Forse che pensa al suo perduto honore, Ch'una puttana faria vergognare? Ma pensa piu che mai cavare 'l core À quelli che la corron' à adorare, Et per una vestura in nuova foggia, Vol far la pace col trentun da Chioggia. Io non mai ho parlato à la Zaffetta, Et l'havea per Signora alta e divina. Ma 'l conte Urluro in ca di Vienna, letta M'ha la ribalda sua vita assassina, Ond'io tengo piu buona et piu perfetta La mia Errante Helena Ballarina; Et se l'Errante è da ben piu di lei, Iddio Cupido, miserere mei. Hor le puttane, c'han l'arlasso inteso, Si risseraron sbigottite tutte, Fra lor pensando s'han qualch'uno offeso, Che caccan di mangiar di quelle frutte; Et s'un cento ducati havesse speso, Non mai di casa fuor l'havria condutte; Ne à Lio, ne à la Zuecca, o in barca
vanno, Tanta paura di quel trentun'hanno. Ma Dio volesse, puttane mie care, Che l'esempio di lei vi fosse in core, Che saria cosa santa il puttanare, Et ci s'acquistaria spasso et honore. Se, quando un gentilhuom vi vol chiavare, De la Zaffa pensaste al dishonore, Dicendo voi di si l'osservereste, Et le vie d'ingrandirsi sarian queste. S'un che v'ama, superbe cortigiane, Trovasse in voi punto di cortesia, Discretion ne la bocca et ne le mane, Et stimare colui che vi disia, Con dir il vero anchuo, come domane, Et non follate e soie tutta via, Senz'essergli richiesto, ei vi darebbe L'anima e 'l core, e poco gli parrebbe. Saria pur gran piacere à dir': Io amo Una donna ch'accetto ha 'l mio servire, La qual vien sempre à me quand'io la
chiamo, Ne mi vol ingannar ne far fallire, Et senza lite ognihor d'accordo siamo. S'io le do, piglia, et non ardisce à
dire: Dammi, fammi, se non ti faccio e dico, Ne à la taglia mi pon, come nimico. Saria ben spilorcio e ben furfante, Un che la sua morosa ognihor chiavasse, E 'l suo bisogno vedendol'inante, Come la vita sua non l'aiutasse. Ma gliè 'l bordel quest'esser vostro
amante, Et credo, se 'l thesoro un di v'amasse, Fallirebbe de l'altro, com'ha fatto Per girvi dietro al cul questo e quel
matto. Un giunge in casa de la sua Signora, Et giunto à pena, vien via la massara Pe i soldi, pel savon; poi esce fuora La madre, che par proprio il cento para; E tanto soia te la traditora, Ch'uscir bisogna di natura avara. Eccoti adosso al fin la Diva corsa, Che bascia te, per basciar poi la borsa. Cuor mio, pare mio, vecchietto mio, Se mi vuoi ben, comprami trenta braccia Di raso, o d'ormesin, c'hoggi 'l
vogli'io. Ti bascia gliocchi, la bocca e la faccia, Tal che vi scapperia Domenedio; Ne giova à te che tu 'l cattivo faccia, Perche 'l cotal, che ti si rizza, vole Che le paghi co i fatti le parole. Et mentre ti svaleggia e à sacco mette: Vien (dice) à dormir meco, e verrai
presto; Et per la propria sera ti promette; Et tu, coglion, corri à mandarle il
cesto. Compri in persona mille novellette, Che ti par che 'l tuo honor ricchieda
questo, Et quel c'hai tu comprato, un'altro cena: Tu stai di fuor, rodendo la catena. Spassegiato quattr'hore pien di stizza, Tosto corri à vestirti à la foresta. Esci di casa, et vuoi la slandra chizza Scannar, brusciar, con ira et con
tempesta. Intanto il tabernacol ti si rizza, Et à subbiar torni, et fai la voce mesta. La massara al balcon dice: Messere, State un poco, e lasciatevi vedere. In questo mezzo il martel, che lavora, T'apre la borsa, et volano i presenti, E al fin resti à dormir con la Signora, Che ti squinterna mille sacramenti Che non puote cenar con teco allhora; Et tu dici fra te: Porca, tu menti. Se Christo vuol ch'io mi snamori mai, Com'un'huom s'assassina vederai. La mattina ti lievi et mandi il fante Per la tua vesta, et lasci in casa à lei Da stravestir i drappi, e la furfante Rubba ogni cosa con mani e co i piei. Mandi per essi, et datti lunghe tante, Che bestemiando e ringratiando i Dei, È forza che mai piu non glie le chieggia, Ma che degli altri ti faccia et
proveggia. Una scuffia che lasci de la notte Piu non si vede et piu non si ritrova. Una camiscia tua de le piu rotte Ti toglie, come fusse bella e nova. Et per Dio! che ne i boschi et ne le
grotte Dove che i malandrin fanno lor prova, Con l'oro in man con piu sicurta vassi, Che fra queste puttane, ohime! non fassi. Al fin gliarlassi et i danar mancati, Et il tempo perduto, e 'l dishonore, E 'l viver sempre mai da disperati, La ragion, l'ira, e 'l dispetto, e 'l
dolore, Con quel rancor che si sfratano i frati, Esci di man del vil asino Amore, Et la mente spezzata fatta sana, Corri à furor contra la tua puttana. Le togli cariuol, casse, e spalliere, Perche le comperaro i tuoi danari. Le sfreggi 'l volto bene et volentiere, E 'l trentun le fai dar fin da i beccari, Con bastonate et staffilate fiere, A manu propria da i fachin preclari, À le massare, à la ruffiana madre, Con rise al cielo spensierate e ladre. Cose ordinarie son le romancine. Cosi le porte tutte impegolate. Le vostre benemerite ruine San gliamici perduti, o sciagurate, O poverette, o mendiche, o meschine, O ladre, o brutte, o ghiotte, o
scelerate; Credete hor al Venier: mutate vita, Se non il ponte à star seco v'invita. Ma io san pazzo ad esortarvi, e dire Che diventiate gentili e divine. Puttane, ho detto mal, vommi ridire Siate piu ladre, ribalde, assassine; Non vi restate à rubbar et tradire Senza misericordia et senza fine, Perche non c'è altro rimedio e via À cavarci del capo la pazzia. S'elle fusser da bene, com'ho detto, Da l'altro di n'andremmo à l'hospedale. Ognun si caverebbe il cor del petto, Se vivessin le vacche à la reale. Il farci ognhor morire di dispetto, Et il trattarci ognhor peggio che male, Et il farci fallire à grand'honore, Ci cava al fin del cul Madonna e Amore. Rubbate pur à due mani et à ognuno; Accumulate pur gioie e catene, Che la vecchiezza vi riduce in uno Tutto quel che pompose hora vi tiene, Et peggio anchor l'ingordo et importuno Mal francioso, ch'un tempo v'intertiene, Vi rubba in otto di quel che furate Ne la vostra fottuta e verde etate. Ma e saria un piacer di paradiso, Se 'l mal francese, ch'altro è che la
tossa, La robba sol vi mangiasse improviso. Il caso è che vi mangia i nervi e l'ossa. Et poi le man, gliorecchi, gliocchi e 'l
viso Vi mangia, e 'l cor, e v'invita à la
fossa, Che cosi vuole Iddio, che 'l tempo
aspetta, Per far de i matti amorosi vendetta. Si che, Zaffetta mia, vivi à l'antica, Cosi come sei vissa, o vivi peggio. Cosi tu, porca Errante, mia nimica, Et voi, altre puttane, perch'io veggio Ch'à uscirvi di man saria fatica, Se voi sedeste in puttanesco seggio Con le virtu c'ho sopra detto tante, E usque a morte ognun vi saria amante. Una fra mille millanta migliara Di puttane viventi à nostre spese Ho conosciuta bella, buona e cara, Et da bene al possibile e cortese, Che Giacoma chiamossi da Ferrara, O vogliam dir Giacoma Ferrarese, Che per esser da bene, e bella, e buona, In questi giorni s'è morta in persona. Altro non ho da dir ch'io mi ricordi, Se non ch'ognun tien lega di cicale, E 'l mondo seria stanza da balordi, Se non fusse lo spasso del dir male, Il mangiar la luganega co i tordi, Con gliaranci, col pevere e col sale. Cosi il dir mal al gusto human non
spiace. Datevi adunque, Angela diva, pace. Se 'l Re, se 'l Pappa, e se l'Imperatore Sopportan che gli sia detto coglioni, Del mio burlar non pigliate dolore; Et se 'l pigliate pur, Dio ve 'l perdoni. Anch'io vo la mia parte de l'honore. Son gentilhuomo atto à donarvi doni. Venni, et subbiai per farvi riverenza, Ma dal balcon mi fu data licenza. La nostra Signoria con gratia degna, E 'l Prencipe ciascun, che parlar vede, Ode con gratia et con humilta degna, Et grand'è pur la Venetiana sede. Ma vostra altezza, per portar l'insegna De le puttane, esser maggior si crede Che non è di San Marco il campanile; Pero dato vi fu il trentun gentile. IL FINE |
LA ZAFFETTA Puisque chacun aussi ignorant du latin que
de la langue vulgaire Pourquoi faut-il s'étonner, sottes gens Celui qui veut guérir en un jour du mal
français Celui qui, comme moi veut devenir poète Ne rougissez vous pas, grossiers bœufs Gens du peuple au mauvais esprit, Et que vous ne discerniez l'urine de l'encre Si l'Aretino avait composé ma Putain Mais vous pourriez dire : il t'a peut-être
aidé Mais revenons à notre Errante et aux
mauvaises langues Pour deux raisons, Zaffetta, en style divin Dieu sait, Madame, s'il m'est douloureux Mon Angela, vous devez bien savoir Avec le trente et un et avec quelque
déplaisir Et moi, Signora Angela Zaffa, pendant que Vous qui n'avez pas su tirer l'âme Infâmes putains, qui dédaignez tellement Grâce à Dieu, il y a en Vénétie, Monsieur, Parmi ce petit nombre, il n'y en a qu'une Sa généalogie nous apprend Elle ne peut dire le contraire ; les putains Et les pauvrettes finissent dans la misère Elle a acquit sa haute réputation Pardonnez moi jeunes gens; l'amour Maintenant, qu'est-il arrivé ? La divine
Zaffetta Le gentilhomme qui s'était fait C'est une grande chose à dire que l'avarice Le gentil jeune homme qui était très épris, On peut supporter facilement bien des choses
: Le gentilhomme n'intervient pas, il reste
silencieux. Quelques jours étant passés, le gentilhomme Sans tarder l'amant donna les ordres Puisque le jour et l'heure où la novice Une fois arrivée à Malamoccco Valeureuse dame, dit la compagnie. Tandis qu'elle continue à parler Je veux, dit la hautaine Angela Voilà maintenant qu'elle réclame des chenets, Des têtes de feu, comme les appelle Petrarque, Elle les veut d'argent, grands et beaux. Elle veut une barque, six métayers, un garçon. Elle ne veut de nourriture que de la région. Toujours du vin dans la cave et de la farine dans le coffre. Pour finir disons que la Borrin veut plus Que n'en a jamais eu une reine. Avec des jardins faits à sa façon Selon les plans de son sagace amant Elle sera la majesté de Chioggia Et deviendra troublante quand elle
apparaîtra Allez, gondolier, en avant ; Tourne, vaurien (dit-elle) ; elle pleure et s'enrage Et à force de tenacité, elle obtient satisfaction. Mon âme, mon espérance, ma fille Quand elle entendit qu'il proposait Se retenir de ricaner. Tout en feignant La sincérité, elle dit vite : La robe, la coiffe, les pater noster et Maintenant elle débarque et n'aperçoit pas
derrière elle Son amoureux s'en apercut. Pour la rendre plus altière encore Vous avez la beauté de la lumière. Avec des soies et châles parfumés Silence à table. Quand l'odeur A la fin viennent les huîtres qui s'empilent
Allons, répondit, un œil ouvert, Cependant, comme dit Boccace, étant bon baiseur Et sentant sa queue bien droite, En ayant elle par malchance, tourné vers lui Le côté solennel du derrière Il lui donne deux coups de lance, chacun plus dur que l'autre. Puis, plus que jamais vaillant, l'ayant maintenant tourné Avec mépris, il lui rend ce service Encore une autre fois devant. Cette musique douce au ton grave, Mélange de ténor, soprano et contre basse, Qui avait rentré sa clé par derrière, La dame en acceptait les bémols. Elle avait chassé son sommeil. Elle sentait son corps tout abandonné Et tournée vers l'amant, elle dit : donne moi Un baiser, mon amour et fais moi la chose. La ruse arrive à son terme et il veut désormais La punir au plus vite de ses malices. Il répond : Mon corps est trop fatigué et me fait mal. Mon âme, que diras-tu de cela ? Et sans d'autres paroles, il sort du lit. Il allume la lumière, il part furtif, semblant triste. Il voit la foule qui l'attend Après la risée, on choisit le jeune homme Qui aura l'honneur de commencer Sans aucune hésitation, celui qui a été choisi Et commence à chanter Cette allègre air en contrepoint Tenant son membre bien ferme dans la main : La petite veuve, quand elle dort seule N'a pas raison de se plaindre de moi... Quand elle entend de telles paroles, Comprend qu'elle ne peut plus fuir. Et s'aperçoit que, pour la punir de sa lacheté Le Trente et un va commencer Voici notre compagnon, le fer en main, Qui veut voir le visage de la Zaffetta. L'ayant vu, sur un ton moralisateur, il dit : Signora, je viens vous donner avis Que cette nuit, un Trente et un royal Et il vous prie, en reconnaissant que vous le méritez De l'accepter de bon coeur et de lui pardonner Quand elle sent la fête s'annoncer La menace lui arrache d'un coup le coeur. Elle veut se rassasier du sang de celui Qui brulait de lui ôter la viginité. Puis, parce qu'elle est sage, elle est prête à s'humilier, Laissant couler des larmes de putain et dit Que le gentilhomme qui a donné l'ordre du Trente et un Aura derrière lui Borrin et les autres. Elle dit que la Zaffa est peut-être à Venise Celle que chacun tient comme la première Que c'est encore une fillette qui boit encore le lait. Il n'est pas convenable de lui donner ce Trente et un. Oh Dieu, mon Dieu ! Voulez-vous que je meure
? Si cette nuit, vous épargnez mon honneur, Ce devant là et ce derrière là sont tout à vous.. Elle offre ses deux sexes, dans lesquels Celui qui l'aime place toutes les vertus. Dit qu'elle a les chairs d'une grue et d'une oie, Parsemées de boutons, comme les manteaux, Les chairs noires, dégoutantes, repoussantes. Elle ne pue pas parce qu'elle chasse les mauvaises odeurs Par la bouche et les pieds.. Le numéro un du gentil Trente et un Qui, par nature, parle librement L'invite à avoir l'âme forte De telle sorte que la Zaffa accepte avec bravoure. Il reconnait que c'est l'acte d'une personne vile Qui veut se venger des femmes, Un acte qui entrainera la colère de Dieu. Il dit : Tourne toi là et montre moi ton chatte. Sa Seigneurie s'est retournée, la tête basse Et honteuse. Lui, le membre bien droit Lui rentre dedans non par luxure Mais avec plaisir, le contact lui donnant des frissons.. Et ici, Messieurs, il y a quelque chose à noter Chose pour laquelle Malamocco envie Chioggia. Je ne sais s'il est mieux de le taire ou de le dire Mais que celui qui ne veut l'entendre, se bouche les oreilles. Le membre de notre jeune ami Par sa dureté ressemblait à une pierre, Il s'engloutissait dans l'huître de la Zaffa Allant et venant , donnant plaisir à tout son corps Mélangeant les sensations les plus fortes. Mais entendant un bruit, le jeune homme fait
un pas Et se vide de tout son suc à l'extérieur. Et ainsi, alors qu'il était dehors Le miracle se produit aux yeux de tous. Un calendrier ne suffirait pas à raconter La risée dont il fut alors l'objet. Et tandis qu'Angela offrait découvertes Les reliques, pleurant amèrement, Voici un pécheur fou et bestial Qui a le bâton gros comme la moitié d'un bras. Sans prendre le temps de dire : Mon coeur, donne moi réconfort, Il avance la lance bien tendue, en arrêt, Avec un regard vil et tordu, Lui ouvre les cuisses et la penètre sans ménagement La Zaffa crie : Ah! Chien tu m'as tué. La tête penchée sur le rebord du lit Elle reste angoissée et meurtrie Mais déjà un autre vient prendre la place du pécheur. Lui aussi pécheur, celui-ci qui se présente
pour la baiser Elle se lance à ses pieds en s'agenouillant Et lui dit : Homme de bien, qui que tu sois, Si tu arrives à me faire échapper Je ne veux ni chaines, ni bijoux Et l'ayant retournée du bon côté, côté des reins Il déchargea tranquillement par deux fois. Après quoi, ce fut le tour d'un gondolier Qui préfère la baiser de bon coeur Plutôt que de goûter sur la barque Pendant que le rameur faisait ses affaires Madame, le monde est fait de revers. Même les plus rusées se font prendre. Ah! Cruel , ingrat où sont Les flatteries que vous me faisiez, quand, autour du rôti Chaque instant paraissait bon. Me donneras-tu tes faveurs,ma petite, disiez vous alors ? Monseigneur, je vous demande pardon et Si vous avez la bonté de stopper là Le Trente et un que vous voulez m'imposer Je serai pour toujours votre esclave et votre servante. Le gentilhomme trahi par elle répondit : Maintenant, c'est l'heure de la grande punition, Parce qu'il faut exaucer mes souhaits. Restez en prière, le coeur repentant. Alors, arrive un homme solitaire Qu'un traître , un turc ou un juif Et qui lui ouvre son petit cul avec sa clé.. L'un tenait à la main un crayon, marquant au
mur Et de sept, dit celui au crayon. Dépêchez vous jeunes gens, moi je suis
pressé. Le numéro huit est noté sur le mur. Il se relève et fait un saut de fou La jeune fille, humiliée, tête basse Celle ci ou celle là pourrait même Les lamentations de Jérémie Mais m'en vais-je vous les conter un par un ? Voici maintenant que la porte a été forcée. Tout Chioggia arrive en furie Pour avoir sa part du gâteau. C'est un grand enchevêtrement de corps. Chacun est satisfait de l'avoir baisé ; A peine l'un s'est-il retiré, Que le suivant lui tombe sur le dos. Avez vous déjà vu le Vendredi Saint Quand chaque chrétien se presse On veut arriver le premier au confesseur. Ainsi, pendant que l'un la baise, l'autre se
prépare Celui qui, avec le crayon, marque les coups Le dernier fut un curé Zaffetta à peine encore vivante avait Dans le corps des litres d'huile et de beurre. Par devant et par derrière, ils lui retombaient Sur les pieds et les talons de manière écoeurante. Notre curé réclame alors pour son chien De ces petites caresses qu'elle sait si bien Donner à ses chers amoureux D'esprit, d'honneur et d'argent. Mais comme le jour est sur le point d'apparaître Le gentilhomme qui a ordonné cette belle partie Entre dans la chambre et chasse rapidement Le petit curé maladroit, penaud. Puis avec une douce voix de prédicateur Réconforte un peu l'affligée Zaffa Et tente de lui faire croire qu'un excès d'amour Est à l'origine d'une si grande erreur. Avez-vous, dit-il perdu la vie Etes vous la première à qui cela arrive ? Il y a dans le monde tellement de malheurs. Bien que pendant le manège, vous ayez du Gloire éternelle à votre bravoure. Angela pleure et dit: Oh malheureuse Vivante, je ne veux plus jamais paraître au
balcon. Et soupirant, elle vomit. Dans sa manière de rendre, on aurait dit un frère, Qui se décharge le ventre d'un potage Contenant une légion d'âmes non nées. De la bouche, elle rejete au conduit Des mandragores transformées en grenouilles, Le sperme lui coulait tout le long du corps. Tandis qu'un torrent de larmes s'écoule, Elle se relève du siège, se rhabille, Et prie le gentilhomme, la tête basse, Qu'il ne soit pas dit mot du Trente et un. Celui-ci jure sollenellement Lui faisant grâce du grand nombre de ses
baiseurs. Puis ayant trouvé une barque chargée de melons, Qui auraient pu atténuer sa tristesse. Restés à Chioggia, les bons compagnons A du subir le Trente et un. Maintenant, la Zaffetta a rejoint Venise, à grand peine. Elle appelle, elle blasphème d'une voix confuse, Tout en balbutiant, elle demande vengeance. Quand sa mère l'aperçoit sur le canal, Voyant sa fille dans un tel état, Et l'aide à regagner la rive où finalement La putain universelle s'évanouit. Installée sur le lit, les poignets baignés L'esprit clair lui est revenu Et regardant sa mère en face Elle dit : ce traître qui m'a emmené à Chioggia, Qu'il soit brûlé, qu'il soit tué. Le traître m'a infligé le Trente et un. Je veux que vous lui rongiez le coeur. Quand sa mère retire ses pansements et voit Son cul et sa fente tout rouges L'un et l'autre tout enflés, elle est certaine Qu'avant deux heures, elle sera dans la fosse. Pleurant à chaudes larmes, elle fait appeler le barbier. Celui-ci arrive tout de suite et n'est pas
sur Il lui enduit le derrière et le pubis. Courroucé, le bestial Borrin A haute voix : Je vais faire un malheur. Il fait avec les doigts le signe de la croix Et jure par tous les sacrements Ah ! monde maudit ! Ah! Béni soit dieu ! Déjà dans tout Venise, le récit du Trente et un Est parvenu dans chaque bordel. On ne trouve personne dans toute la ville Qui ne se réjouisse de l'aventure. Enfin le bon camarade Gioan Donato Ont tous les deux pitié de sa douleur Et lui épargne les railleries. Les maîtres qui voulurent bien la punir Pour noter de toute part le numéro huit Comme il avait été convenu Parce qu'ils respectent la promesse faite Chacun de ceux qui le lisent Bénit les maîtres du chatiment à la courtisane La Zaffetta a fermé tous les volets. Elle reste dans la maison comme une morte. Sa maison n'attire plus personne. Elle n'ouvrirait pas sa porte même à un prince. Elle ne mange pas, elle ne dort pas ; elle
reste triste Quand elle se rappelle de Chioggia, Elle se laisse tomber lourde comme une masse. Les cinq seigneurs de la nuit et les chefs de quartier Aux oreilles desquels l'aventure est arrivée Tout en riant des exécuteurs du Trente et un Essaient de faire justice. Les vénitiens comme les étrangers Parlent du bien mérité châtiment, De telle façon que dans toute l'Italie, on chante déjà le numéro huit C'est à dire le numéro quatre vingt. Angela reste pire que seule, Silencieuse, comme en deuil, chaste et sobre. Six jours passent. Elle est presque guérie D'abord elle ne dit rien, puis enfin soupire : Assez !. Déjà la honte lui est sortie de l'esprit. Ne sentant plus de douleur dans les sexes, Plus effrontée encore qu'avant, provocante et conquérante Elle est sur son balcon, telle la Reine Yseult. Peut-être pense-t-elle devenir meilleure, Ne plus trahir, ne plus railler, ne plus mentir ? Peut-être pense-t-elle à son honneur perdu ?, Pourquoi une putain devrait-elle avoir honte ? Mais elle pense plus que jamais à prendre le coeur De tous ceux qui accourent pour l'adorer. Et endossant un habit de nouvelle coupe Elle veut oublier l'épisode de Chioggia. Je n'ai jamais parlé à la Zaffetta, Et la tenait pour une Dame haute et divine. Mais le comte Urlura de la maison de Vienne M'a rapporté sa vie assassine. Si bien que je tiens aujourd'hui pour meilleure et plus parfaite Ma Putain Errante Elena Ballarina; Et si cela est vrai, alors Grand Dieu Cupidon, ayez pitié de moi. Maintenant, toutes les putains qui ont eu
connaissance Se demandant si elles ont offensé quelqu'un Prêt à agir de cette façon. Et même si on leur promettait cent ducats Jamais elles n'accepteraient d'aller Ni au Lido, ni à la Giudecca Que Dieu veuille, mes chères putains, Que cet exemple reste dans vos coeurs. C'est une chose sainte que de tapiner On y gagne honneur et plaisir. Mais quand un gentilhomme veut vous baiser En disant oui, demandez vous Si les voies pour devenir plus grandes sont bien celles-ci. Superbes courtisanes, si quelqu'un qui vous aime Trouvait en vous courtoisie Discretion dans le parler et dans le faire, Estime de celui qui vous désire, Sincérité aujourd'hui comme demain, Aucune folie, aucun mensonge Sans que vous ayez à lui demander, il vous
donnerait C'est un grand plaisir de dire : J'aime Une femme qui accepte de me servir, Qui est toujours là quand je l'appelle Qui ne cherche pas à me mentir ou à me tromper, Avec laquelle je suis toujours d'accord. Si je lui donne, elle prend mais ne réclame
pas Elle ne se pose jamais comme mon ennemie. Il serait bien malhonnête et avare Et qui la voyant dans la nécessité Ne subviendrait pas à ses besoins. Mais cette amante n'est que pensionnaire de bordel Et je crois qu'après vous avoir tout pris Elle tourne son cul au premier venu Qui se présente avec de l'or. On arrive à la maison de sa Dame Et à peine arrivé, l'entremetteuse est là Pour l'argent et pour le savon. Puis arrive La mère qui te demande encore plus. La traîtresse est tellement effrontée Qu'il te faut sortir de ta nature avare. Alors enfin arrive la divine Mon coeur, mon petit père, mon petit vieux De tissus de soie qu'aujourd'hui je veux. Elle te baise les yeux, la bouche, le visage De telle manière que Dieu même ne pourrait échapper; Cela ne te sert à rien de faire mauvaise
figure Et pendant qu'elle te dévalise, te met à
sac, Elle te promet d'être là ce soir. E toi, couillon, tu cours pour remplir le panier De mille petites choses que tu achètes. Parce qu'il te semble que ton honneur le réclame. Mais ce que tu as acheté, c'est un autre qui le dine avec elle. Tu restes dehors, rongeant ton frein. Ayant passé quatre heures plein de rage, Tu cours vite te parer de tes plus beaux vêtements. Tu sors de chez toi prêt à tuer, A bruler l'infâme dans un moment de rage et de tempête. Pendant ce temps, toujours tu bandes. Tu reviens donc penaud et tu fais la voix douce L'entremmeteuse du balcon te lance : Monseigneur Attendez un peu, montrez-vous. Alors le marteau qui te travaille T'ouvre la bourse et tu distribues les
présents. Qui te trouve mille excuses Pour n'avoir pu diner avec toi Tu te dis à toi même : Salope , tu mens. Si le Christ voulait que je ne tombe jamais amoureux Tu verrais comment un homme devient un assassin. Le matin, tu te lèves, tu envoies le valet Pour te chercher ta veste et tu laisses dans sa maison Des habits de luxe que tu as amené. La faquine Fait des pieds et des mains pour te voler tout ce qu'elle peut. Tu lui en donnes tant, tu lui envoies tant, Que blasphémant et reniant Dieu, Tu espères ne jamais plus la revoir Et que d'autres viendront pourvoir à ses besoins. Une coiffe que tu avais prise pour la nuit, Tu ne la vois plus, tu ne la retouves plus. Ta chemise, pourtant une des plus usées Elle te la prend, comme si elle était belle et neuve. Mon Dieu ! Que dans les bois et les grottes Où les malandrins commettent leurs méfaits, Tu peux aller l'or en main avec Plus de surement qu'au milieu de ces putains. A la fin : l'argent est envolé, Le temps perdu et le déshonneur est là. Quelle lassitude de vivre toujours désespéré, Quelle colère, quel dépit et quelle douleur. Avec une rancoeur semblable à celle d'un curé défroqué Tu décides de laisser tomber ce vil Amour. Ton esprit fou redevient sain. Ta colère contre ta putain explose. Tu lui retires les tables, les coffres, les fauteuils Parce que tu les avais payés, toi. Tu la gifles bien volontiers, Et tu lui fais donner le Trente et un par des gueux. Avec coups de fouets et des coups de bâtons, De la main d'illustres faquins A l'entremetteuse, à la mère Accompagnés de risées qui montent jusqu'au ciel. Les petites amourettes sont des choses ordinaires Comme les portes toutes poisseuses. Malheureuses, que de déboires ! Combien d'amis perdus.. O pauvrettes mendiantes, mesquines O vilaines, scélérates, voleuses, méchantes Croyez maintenant Venier : changez de vie, Si non le malheur s'invite à rester à vos côtés. Mais je suis bien fou de vous exhorter Putains, j'ai dit du mal devous et je veux le redire : Vous êtes voleuses, assassines et scélérates. Vous ne pouvez continuer à voler et à trahir Sans pitié et sans discontinuer. Il n'y a pas d'autre remède Il faut vous retirer cette folie de la tête. Si vous deveniez femmes de bien, comme je l'ai dit, Le jour suivant, nous tomberions malades, Le coeur ne battrait plus dans la poitrine. Si les putains vivaient honnêtement Ayant honte du passé à chaque heure du jour, Se laissant traiter de la pire façon Nous refusant pour garder leur honneur A la fin, nous perdrions tout amour. Volez donc chacune des deux mains ; Accumulez chaines et bijoux, Parce que la vieillesse réduira à zéro Tout ce qu'aujourd'hui vous avez, Et pire encore, l'importun, le vorace Mal français qu'un jour vous contacterez Vous ôtera en huit jours ce que Vous avez pris dans votre vert été. Mais ce serait un plaisir de paradis Si le mal français, qui est bien autre ccose que la toux Vous dévorait le corps tout d'un coup. C'est un mal qui vous ronge les nerfs et les os, Puis les mains, les oreilles, les yeux, le visage. Il vous mange le coeur puis vous envoie à la fosse. Parce qu'ainsi Dieu veut que le temps prenne son temps Pour se venger des infamies que vous avez commises. Ma zaffetta, vis donc comme tu l'a fait Jusqu'ici, ou pire encore. Toi aussi, Putain errante, mon ennemie Qu'il sera trop dur de vous tirer de là. Restez assise sur votre trône de putain Avec les vertus dont j'ai déjà parlé Et jusqu'à la mort, chacun sera votre amant. Parmi les milliers et les milliers De putains vivant à nos dépens J'en n'en ai connue qu'une bonne, belle Chère, courtoise et femme de bien. Elle s'appelait Giacoma ; native de Ferrare, Tous l'appelaient Giacoma Ferrarese. Pour avoir été belle, bonne et honnête, Elle est aujourd'hui disparue. Je n'ai rien d'autre à dire dont je me souvienne Sinon que sans mauvaises langues, Le monde serait bien ennuyeux S'il n'y avait pas le plaisir de dire du mal, De manger la saucisse avec les sots, Avec les oranges, le sel et le poivre. Médire du genre humain est chose agréable. Divine Angela, allez donc en paix Puisque le roi, le pape et l'empereur Supportent d'être traités de couillons De mes attaques ne soyez pas meurtrie Et si vous l'êtes, Dieu vous le pardonnera Moi aussi je veux ma part d'honneur. Je suis gentilhomme disposer à vous faire des dons. Je vins et m'inclinai pour vous faire révérence Mais du balcon, on me congédia. Notre Seigneurie écoute Chaque Prince qui vient lui parler. Grand est le siège de Venise. Votre Altesse a cru être un mat plus grand Que le campanile de Saint Marc Pour porter l'étendard des putains. Cependant vous fut donné le Trente et un. FIN. |