Lorenzo Veniero

 

LA ZAFFETTA

 

NOTICE SUR LA ZAFFETTA

 

La Zaffetta est un poème satirique composé de cent quatorze stances non numérotées, de huit vers chacune, et dont le sujet est le récit d'une aventure, le châtiment infligé à une courtisane de Venise nommée Angela.

Le titre du poème, - la Zaffetta, - est dérivé du mot Zaffo, qui en dialecte vénitien signifie sbire. C'est le surnom que l'on donnait à cette courtisane, fille d'un sbire

L'auteur de cet opuscule est Lorenzo Veniero, noble Vénitien, qui, en le commençant, déclare l'entreprendre pour prouver qu'il est également l'auteur de la Puttana errante, autre poème satirique que l'on attribuait faussement à Pietro Aretino, et qu'il faut bien se garder de confondre, comme l'ont fait plusieurs bibliographes, avec un dialogue en prose portant exactement le même titre.

Les bibliographes ne sont pas d'accord relativement au lieu d'impression et à la date de ce livre; la plupart cependant indiquent Venise, 1531.

 

Quant au châtiment (Le Trente et un) qui fait le sujet du poème de la Zaffetta, il paraît qu'il était assez fréquemment usité en Italie, puisqu'il donna naissance à plusieurs mots qui restèrent dans la langue italienne. En effet, outre les expressions trentuno, trentone, du poème, nous trouvons dans le Dictionnaire italien-français de Nathaniel Duez le mot trentuniere, pour désigner celui ou celle qui est l'agent ou l'objet du trentuno.

Pour se venger de l'infidélité de sa maîtresse, courtisane renommée, un gentilhomme la fait conduire à la Chioggia et organise un viol collectif, qu'aujourd'hui l'on qualifierait de "tournante".

 

LA ZAFFETTA

 

Poi ch'ogni bestia in volgar e in latino,

Con giudicio di pecora ignorante,

Ciancia che 'l famosissimo Aretino

Hammi composta la Puttana Errante,

Per mentirgli dov'entra il pane e 'l vino,

Et per chiarir ch'un furfante è furfante,

Vengo à cantar si come la Zaffetta

Ne l'utriusque à Chioggia hebbe la stretta.

 

Che bisogna stupir, goffi, se io

Ho in un tratto lo stil fatto famoso?

Un'Aretin, mezz'huomo et mezzo Dio,

Mi presta il favor suo miracoloso.

Chi vuol in ciel balzar per chiamar Clio,

Vuol guarir in un di del mal francioso.

Invochi l'Aretin, vero propheta,

Chi si vol far, come son io, poeta.

 

Non v'arrossate, buffalacci buoi,

À dir che 'l mastro di color che sanno,

Spenda à mio nome glialti studi suoi,

Com'i pedanti à suoi scholari fanno.

Puo far San Pier che non ci sia fra voi

Plebei tanto d'ingegno co 'l mal'anno,

Che discerna l'orina da l'inchiostro,

E 'l priapesco uccel dal pater nostro.

 

Se l'Aretin la mia Puttana havesse

Composta, come dite, babuassi,

Credete voi ch'altro suon non tenesse,

Altri soprani et altri contrabassi.

Le rime sue parebbono pappesse,

Et i suoi versi parebbon pappassi;

Et poi Pietro, al mio dir ferma colonna,

Mai non ha visto camiscia di donna.

 

Ma dir potreste: Ei t'ha forse aiutato

À finir l'opra, a cio sia l'opra eterna.

Dico di non, perch'io non son sfacciato,

Com'è 'l ghiotton presontuoso Berna,

Che per haver Orlando sconcaccato

Con rimaccie da banche et da taverna,

Il nome suo ci ha scarpellato sopra,

Come se del furfante fusse l'opra.

 

Ma torniamo à l'Errante e à le cicale,

Che 'n giudicar si menano l'agresto,

Et hanno nel cervello manco sale

Che d'un'infermo non ha 'l polo pesto.

I l'ho fatt'io col proprio naturale,

Et perche vi chiarite presto presto,

Non havendo per hora altra facenda,

De la Zaffetta canto la leggenda.

 

Per due cagion, Zaffetta, in stil divino

Vengo à cantar l'historia de tuoi fatti:

Una per dimostrar che l'Aretino

I versi de l'Errante non m'ha fatti;

L'altra, ch'in far piacer son si latino,

Ch'è forza contentar parecchi matti,

Che mi stringono à dir in nova foggia

Di quel trentun che ti fu fatto à Chioggia.

 

Dio 'l sa, Signora, che mi dolse e dole

Il trentun vostro, perch'i v'amo e adoro.

Ma chi manca à gliamici di parole,

Manco gli impresteria gli scudi d'oro.

Voi pur sapete s'un chiavar vi vole,

Ch'ei pur vi chiava et nel fesso et nel foro.

Dunque che poss'io far, se vole ognuno

Ch'io canta la novella del trentuno?

 

Angela mia, dovete ben sapere

Ch'ogni Diva ha 'l trentuno o 'l mal francese,

O tardi, o presto, ad ogni modo havere,

Che 'l veggia et sappia ognun chiaro et palese.

Circa il trentun, con poco dispiacere

Sete uscita d'affanni à vostre spese.

Hor venghin via le bole, a cio che voi

Non stiate piu in pensier, co fatti suoi.

 

Et io, Signora Angela Zaffa, intanto

Che 'l mal francioso occulto scoprirete,

Di voi 'l trentun, qual vangelista, canto;

Et s'io punt'erro, mi corregerete,

Perche 'l fatto v'è noto tutto quanto;

Et meglio tutto à mente lo sapete,

Che non sa la Zaffetta, al trentun corsa,

Cavar l'anima e 'l core d'ogni borsa.

 

Puttane ladre, che vi disdegnate

Tener un gentil'huom per vostro amante,

D'un gentil'huomo un'arlasso ascoltate

Fatto à una gentil porca galante,

C'ha privilegio fra le nominate,

Qual fra le vacche la Puttana Errante,

Et finir senza dubbio vi prometto,

Come ch'i ho, quel ch'io vo dirvi, detto.

 

Signor, sono in Venetia, gratia Dei,

Tre legioni o quattro di puttane,

Ruine de patritii et de plebei,

Parte in gran case, parte in carampane;

Ma fra tante migliaia un cinque o sei,

Per forza di belletti e d'ambracane,

Copron si lor bruttezza stomacosa,

Che le poltrone paion qualche cosa.

 

Fra queste poche ce n'è una sola

Che tiensi prima in la fottuta setta.

Non è la Griffa, non è la Bigola,

Che le parole profuma e belletta.

Aiutatemi à scioglier la parola;

La sua altezza ha nome la Zaffetta,

Che si tien nata di sangue reale,

Poi che patrigno l'è Borrin bestiale.

 

Conta talhor la sua geneologia,

Et fassi figlia del Procuratore

Da ca Grimani, ch'à sua madre ria

Gia fece a ch'ell'è dentro, a ch'ell'è fuore.

Ma viemmi grizzol ne la fantasia

Di cantar puntalmente in bel tenore

Il suo grado in minoribus, et come

C'ha guadagnato il puttanesco nome.

 

No 'l vo dir no, perche de le puttane

Sempre giostran del par, principio e fine.

Cominciano a grandirsi con un pane,

Et con un pan finiscon le meschine.

Basta che la Zaffetta è d'ambracane,

Di seta e d'or, e in pompe alte e divine,

Non sua virtu, non sua bellezza o gratia,

Ch'ella nascendo nacque la disgratia.

 

Il caso del suo grande et ladro stato,

Che i nostri gentiluomini ogn'hor soia,

Da una sorte di corrivi è nato,

Che per morbezza, per garra et per foia,

Cercando haver l'un l'altro superato,

À questa Arpia, ch'à chi piu l'ama annoia,

Han dato senza merito à diletto

L'anima e i soldi, à lor marcio dispetto.

 

Perdonatemi, giovani; l'amore

Ch'io vi porto fa dirmi cio ch'io dico.

Sapete ben ch'io vi son servitore,

Non pur compagno, fratello et amico.

Poi ne la lingua i ho quel c'ho nel core;

Io l'ho detto, et di novo lo ridico:

Le vostre garre, et non gratia o bellezza,

Hanvi abbassati, et lei post'in altezza.

 

Hora ch'accade? la Zaffetta Diva,

Diciam bella, gratiata et virtuosa,

Poi ch'ella del cervello e danar priva

Ciascun con la sua faccia artificiosa,

Fra l'incazzita sua gran comitiva,

Havea un'amante, ch'è si gentil cosa,

Pieno di leggiadria e cortesia;

Et se non fosse 'l ver, non lo diria.

 

Il gentil gentilhuom prodigo amante

Sendo fatto di lei, per sorte rea,

Le stava sempre servitore inante,

Com'ella fosse non Zaffa, ma Dea.

Si che pensi ciascun se la furfante

Honestamente rubbava e chiedea.

Perdio, c'han piu discrete e honeste mani

Cingani, marioi, giudei, marrani.

 

Gran cosa è à dir che l'avaritia stringa

Una puttana si ch'un soldo, un bezzo,

Un guanto vecchio, un puntal, una stringa,

O s'altra cosa c'è di minor prezzo,

Con parlar che tradisce et che lusinga,

Ti rubba sempre, et ha talmente avezzo

L'appetito à far trar, che nel bordello,

Dove son'esse, mandan questo e quello.

 

Il giovane gentil, che forte amava,

Pur che trovasse fede in la Zaffetta,

Lo spender da par suo manco curava,

Ch'un cavallar di far una staffetta.

Ma non ste molto questa Zaffa fava,

Ch'un'arlasso gli fe, come la setta

De le porche poltrone ognhor far sole

À chi piu dalle, a chi piu ben le vole.

 

Ogni cosa si puo facil soffrire.

Servitu e danari son niente. (sic)

Ma questo puttanesco ognhor tradire

È quel ch'uccide l'amorosa gente.

Credi sta notte con la Dea poltrire,

Et trovi un'altro tuo luoghotenente.

Brava, frappa à tua posta, amazza e squarta,

Ch'à coda ritta è forza che ti parta.

 

Non fe 'l giovin gentil frappe o rumori,

Al corpo, al sangue, vacca, slandra, ladra,

Ne con spada ò baston sfogò gliamori,

Anzi dopo l'arlasso in mente squadra

Di vendicarsi, onde doppio i favori

À la Signora, e dandole la quadra,

Piu che mai la presenta e la corteggia,

Acio che 'l suo pensier dentro non veggia.

 

Passati alquanti di, comincia à dire

Il gentil'huom: Quando vogliam, Signora,

A Malamocco per solazzo gire,

Poi che del darci piacer ne vien l'hora?

Con puttanesco et temerario ardire

Rispose la Madonna Angiola allhora:

Al piacer vostro, tutta allegra e altera,

Ma che torniamo à Venetia la sera.

 

À l'ordin dar non fu zoppo ne tardo

L'amante da le soie assassinato;

Ma con un dolce piacevol riguardo

Duo giovin gentilhuomini ha chiamato:

Un manda à Chioggia, che la cena al tardo

In punto metta; et l'altro, spensierato,

Buon compagno al possibile e da bene,

Seco per gir con la Signora tiene.

 

Poi che 'l giorno e l'hora e 'l punto venne

Che far le nozze dovea la novizza,

Preparossi una gondola solenne,

Ch'in due vogate mezzo miglio sguizza;

La qual à Malamocco il camin tenne,

Portando allegra l'angelica chizza,

Che fea col suo moroso un gran contrasto

Per voler gir, come sposa, sul trasto.

 

Come fu giunta questa meretrice

À Malamocco in gran reputatione,

Vezzosamente soghignando dice:

Ecci, ben mio, da far collatione?

Et veggendo fumar una pernice,

Quella grappò e inghiotti in un boccone,

E in men che non si dice Ave Maria,

Traccano gotti sei di malvagia.

 

Buon pro, Madonna, dice la brigata;

Et ella ride e gliamorosi soia,

Et con quella sua gratia disgratiata

Petegolando, sempre ha in bocca moia;

E à questo e à quello ha la barba tirata,

Per favorirli, e con spiacevol noia

Conta le sue grandezze, et narra come

Di Zaffetta acquisto con l'opre il nome.

 

E facendole buon cio ch'ella parla,

In gondola torno la compagnia.

La cicalaccia riscaldata ciarla

Pur de le sue grandezze tutta via.

In tanto à Chioggia comincio aviarla

La barca instrutta à quel ch'à far havia.

Ell'attende al suo dire, e vol trovare,

Fra duo di, una casa da suo pare.

 

Voglio, dicea la gloriosa alfana,

Che voi morosi mi facciate havere

Per sempre à fitto la ca Loredana,

Se non mi moriro di dispiacere.

Poi comincio à cantar una pavana,

Che gia la casa le parea godere.

Vol comprare spalliere e razzi eletti;

Vol far di seta e d'or cinque o sei letti.

 

Poi entra à dir di certi caveoni,

O capo fuochi, che dica 'l Petrarca.

Gli vuol d'argento, che sian belli e buoni.

Vol sei massare, un ragazzo, una barca.

Vol de contadi le sue provigioni,

In canua vin, sempre farina in l'arca,

E al fin vol tante cose la Borrina,

Che non n'hebbe mai tante una Regina.

 

Con questi suoi giardin, fatti à sua foggia,

Confermati dal suo sagace amante,

Si ritrovo sua maestade à Chioggia,

Et sbigotti quando l'apparse inante,

Dicendo: Mia persona non alloggia

Sta sera qui: va, barcaruolo, avante;

Gira, poltron (diss'ella); et piange e arrabbia,

Ma patientia è pur forza al fin ch'ell'habbia.

 

Anima mia, speranza, figlia mia,

Caro sangue, ben mio, dolce mia vita,

Dicea il suo moroso in voce pia,

Da me non fate sta sera partita.

Cio ch'i ho, Angioletta, vostro sia;

Con voi la robba mia non è partita.

Chiedete pur, non habbiate vergogna,

Che chi per voi brama di far non sogna.

 

Non puote allhor tenersi la puttana

Di non ghignar, mentre facea cordoglio,

Quando senti la proferta che spiana

Di darle il tutto, et disse presto: I voglio

Di restagno et veluto una sottana,

Di quelle ch'à le feste portar soglio.

Voglio una scuffia d'oro, e vo domane

I vostri Pater nostri d'ambracane.

 

La sottana, la scuffia, e i Pater nostri,

L'Ave Marie, i Salmi et l'Orationi

Havrete, figlia, pur c'hora si mostri

Il vostro cor privo d'afflittioni,

Rispose il gentil'huom: non de i par vostri

Amorosi di fava, Ser coglioni,

Che da le puttanaccie sopportate

Con mille villanie le bastonate.

 

Hor ella smonta, e non s'accorge havere

Dietro una barca, di fottenti piena.

Corre la turba à furor per vedere

La famosa Zaffetta d'error piena,

Ch'indosso porta un mezzo profumiere.

Parla da nimpha, e 'l passo move à pena.

Hora su questo, hora su quel s'appoggia,

Et vol parer l'Imperatrice à Chioggia.

 

Il suo amante, che se ne traggea,

Per farla andar piu di se stessa altera,

Con voce da stupir pian le dicea:

Voi sete di bellezza una lumiera.

Hor fosse adesso qui Venere Dea,

Che vedria 'l mondo chi ha miglior ciera;

Poi soggionge: Madonna, un de vostri atti

Questi Chioggiotti fa diventar matti.

 

Con queste soie e berte profumate,

Entraro i sotii, con sua Signoria,

Dov'eran le vivande apparecchiate,

Com'à gran gentilhuom si convenia;

Et havendosi ognun le man lavate,

À cena se n'entro la compagnia,

E in capo di tavola s'assetta

La puttana Illustrissima Zaffetta.

 

Silentio à mensa, quando l'odor vola

De gliarrosti per tutto; ella si tace.

Con piene mani, piena bocca e gola

Sol dice: Questo è buon, questo mi piace;

Et chi l'havesse chiesta altra parola,

Non era per haver seco mai pace.

Mangia e bee senza freno, anzi divora,

Et buon per me, ch'era à Venetia allhora.

 

Venner l'ostreghe al fin, che tante e tante

Ne mangiò su' altezza, che ciascuno

Grido misericordia, e haveva inante

Le scorze, che l'apri tutto 'l communo.

Ma che ciancie cont'io? Suo largo amante,

Ch'ordinato ha l'historia del trentuno,

Piglia per man l'Angiola per diletto

Dicendo: Sangue mio, andiamo al letto.

 

Andiam, rispose, con un'occhio chiuso

E l'altro aperto, l'Angela divina,

Ch'addormentata nel letto entro giuso,

Non sapendo se gliè sera o mattina.

Quel giovine gentil, che non er'uso

Esser soiato da una fachina,

Anch'egli in un balen fassi spogliare,

Che vendicar si vuol, non vol chiavare.

 

Pur trovandosi ritta la ventura

Disse 'l Boccaccio, essendo buon fottente,

Havendogli ella volto per sciagura

Il volto del seder solennemente,

Ruppe due lancie, ciascuna piu dura,

Poi al suo inanzi piu che mai valente

Per dispreggio di lei venne à la volta,

Et le fe quel servigio un'altra, volta.

 

Quella musica dolce in tuono grave,

In tenore, in soprano e in contrabasso,

Che l'havea messo dirietro la chiave

Nel suo B molle accettò per ispasso

Cacciato il sonno da la Signor'have,

Per cui sentia tutto 'l suo corpo lasso,

E rivolta à l'amico disse: Dammi,

Speranza, un bascio, e quella cosa fammi.

 

Ei, c'ha preso la volpe et hormai vole

De le malitie sue punirla presto,

Rispose: Il corpo mi s'è mosso e dole,

Anima mia, hor che vorra dir questo?

E del letto esci, e senza piu, parole

E 'l lume piglia, et va ratto, e par mesto.

Come la turba, che l'aspetta, il vide,

Da compagnona smasselando ride.

 

Dopo le risa, si conchiude ch'uno

Gentil giovane vada à principiare

Il meritato honorevol trentuno,

Col qual s'ha la Zaffetta à disgradare,

Hora 'l buon sotio senza indugio alcuno

In camera entra, e comincia à cantare

Con il Priapo in man sodo in un punto

Questa canzone allegro in contrapunto:

 

La vedovella, quando dorme sola,

Lamentarsi di me non ha ragione...

Quand'ode il suono d'una tal parola

La traditrice di tante persone,

Che piu fuggir non puo, s'ella non vola,

Ne i capelli et negliocchi le man pone,

Che ben s'accorge che 'l trentun vien via,

Per castigar la sua poltronaria.

 

Eccoti il sotio, c'ha in mano un ferale,

Che vol veder pur la Zaffetta in viso,

Visto ch'ei l'ha, con bel parlar morale

Disse: Signora, i vengo à darvi aviso

Come sta notte un trentuno reale

Quel che v'adora vuol darvi improviso;

Et pregha, se non è qual meritate,

Ch'accettando 'l buon cor gli perdoniate.

 

Quand'ella sente la festa annontiarse,

Al minacciar zaffesco à un tratto corre,

Et vol del sangue di colui satiarse

Che la verginita l'ardiva à torre.

Con puttanesco pianto à humiliarse

Comincia poi, perch'è savia, e discorre

Che 'l gentilhuom secondo del trentuno

Chiavato ha dietro Borrino et ognuno.

 

Dicea la Zaffa borse à una Signora

Ch'in Vinegia ciascun la prima tiene,

Ch'è fanciullina e 'l latte ha in bocca anchora,

À dar questo trentun non fassi bene.

Deh Dio! ah Dio! volete voi ch'io mora,

Magnifico Messer dolce e da bene?

Se sta notte salvate l'honor nostro,

Questo dritto e riverso è tutto vostro.

 

E duo sessi squinterna, in cui le frappe

D'alcun che l'ama ogni vertu colloca.

Ma 'l trenton, che le tocca e coscie e chiappe,

Disse ch'ell'ha carne di grua e d'oca,

Riccamata di brozze, come cappe,

E negre, e schiffe in morbidezza poca.

Non puzza, no, perche caccia i fetori

De la bocca et de i piei con mille odori.

 

Il giovin nontio del trentun gentile,

Ch'à la libera vive per natura,

La conforta à far animo virile,

Tal che la Zaffa stringhe, entra in bravura,

Et chiama un'atto di persona vile

Chi vendetta di far con donne cura;

Ond'ei, ch'entreria in colera con Dio,

Disse: Voltati in la, potta di Dio.

 

Voltassi in la col capo humile e basso

Sua Signoria, et ei, drizzato 'l stocco,

Dietro à la porta glie 'l messe per spasso,

Non da lussuria, ma da un grizzol tocco.

E qui è, Signor, da notar un bel passo,

Per cui à Chioggia invidia ha Malamocco.

Non so s'è me' tacerlo o meglio dirlo,

Ma serri gliocchi chi non vuole udirlo.

 

Lo stocco di quel giovane ch'io dico,

Essendo duro, parea proprio un sasso;

L'ostreghe che 'nghiotti la Zaffa amico

Andando vive pel suo corpo à spasso,

A quello s'aggrappar con forte intrico.

Sentendo questo il gentil'huomo, un passo

Tirossi in dietro; e 'l stocco dischiavato,

D'ostreghe 'l vide tutto rìccamato.

 

Et cosi, com'egli era, uscendo fuora,

Il miracolo à i sotii mostro chiaro.

Le risa che di cio fur fatte allhora,

Non ve le contarebbe un calendaro;

E mentre le reliquie la Signora

Tenea scoperte, e facea pianto amaro,

Eccoti un pescator pazzo e bestiale,

Ch'un mezzo braccio ha lungo il pastorale.

 

Et senza dir: Cor mio, ne dar conforto,

À lei s'aventa e la gran lancia arresta,

E con un guardo villanesco e torto

Le coscie l'apre, et incartolla à sesta.

Grido la Zaffa: Matti, tu m'hai morto;

E su la sponda inchinando la testa,

Stette tanto in angoscia et in dolore,

Che venne un'altro in cambio al pescatore.

 

Questo quarto à chiavarla parse à lei

Pur pescator, ma di natura pia,

E 'nginocchioni lanciosegli à i piei,

Dicendo: Huomo da ben, chi tu ti sia,

Se mi scampi di man de i farisei,

Facendomi fuggir per qualche via,

Queste gioie et catene vo donarti,

Et diece e venti volte contentarti.

 

Non voglio gioie, non voglio catene:

Vo fotter, disse Marcon à la pace;

Et voltatala in giuso con le schiene,

La balestra scarco due volte in pace.

Dopo costui un barcaruol ne viene,

Che 'l chiavar di buon core piu gli piace,

Che la merenda non fa su la barca,

Se bee senz'acqua al boccal vin di Marca.

 

Mentre Ser barcaruol facea i suoi fatti,

Ecco à la porta una quistione appare,

De la camera dico, perche ratti

I Chioggiotti son corsi per chiavare,

Come su i coppi di Genaro i gatti

Corron con incazzito imagolare;

E la Zaffa barette ahime dicea,

E 'l gentilhuom di fuor le rispondea:

 

Madonna mia, il mondo è fatto à scale.

Sempre non ride del ladro la moglie.

À Chioggia scende chi à Venetia sale,

E pur tallhor de le volpi si coglie.

Voi rideste di me di carnevale,

Quando ch'i havea del vostro amor le doglie,

Hor di quaresma io mi rido di voi,

Et cosi pare il gioco va fra noi.

 

Ah! crudele, ah! ingrato, ove, ove sono

Le berte date à me, quando volevi

L'arrosto, che parendoti ognhor buono:

Dammelo, cara mammina, dicevi?

Signor mio caro, io vi chieggio perdono,

Et se mi concedete ch'io mi levi

Questo trentun dadosso, che m'accora,

Vi saro sempre schiava e servitora.

 

Rispose il gentilhuom  tradito:

Adesso vien ampia commissione,

C'havra il voto vostro esaudito.

State col cor contrito in oratione.

In questo, un c'havea, com'un romito,

La conscientia senza discretione,

Da traditor, da turco e da giudeo,

L'apri con la sua chiave il culiseo.

 

Con il carbon stava un, segnando al muro

Tutte le botte ch'eran date à lei;

Et quando à lei sei volte giunte furo,

Grido colui ad alta voce: E sei.

Vien via un'hortolan dal pinco duro,

Dicendo: Tu la mia speranza sei;

Et senz'altro prohemio compi presto

La sua facenda, fatta in luogho honesto.

 

E sette, gli dicea quel dal carbone.

Ispacciatevi, giovani, c'ho fretta.

Tocca la volta à un fante poltrone.

Non uso à mangiar carne di capretta.

Costui adosso in modo se le pone,

Che vomitar fece à la poveretta

Quel ch'ella 'l di mangio, poi cheto cheto

Le pianto il suo ravano di drieto.

 

Numero otto gia nel muro appare.

Ma qui ne vien il buon, comincia adesso,

De la comedia il secondo atto appare.

Esce in campo un fachin soffiando spesso,

Che vuole un porro di dietro piantare

À colei, ch'ogni cosa à sacco ha messo,

Et senti tal dolceza il buon compagno,

C'hebbe à morir sul buco, come 'l ragno.

 

Levato in pie fece un salto da matto:

Berghem, berghem, gridando à la fachina.

Par proprio un gallo c'ha fatto quel fatto

À la sua bella morosa gallina,

Che, smontato ch'egli è, scuotesi un tratto,

Canta una volta, et a beccar camina:

Cosi 'l fachin, de lo sborrar satollo,

A legar ritorno non so che collo.

 

La Signora fottuta à capo basso

Piangeva ad alta voce si dolente,

C'havrebbe humiliato un Sathanasso,

E un bulo in bizzaria fatto clemente.

Dicea: Deh! perche 'l petto hor non mi passo,

Acio i non senta cianciar fra la gente,

A San Marco, à i Frari, e da ciascuno,

Ch'io degnamente n'abbia havuto 'l trentuno?

 

Hor sera pur contenta questa e quella,

Invidiosa di mia buona sorte.

Come 'l Venier lo sa, fara novella,

Perch'aprir non gli volsi un di le porte.

Gia ogni barcaruol di me favella,

Et parmi udir da i putti gridar forte,

Sul ponte di Rialto, a cio s'intenda:

Chi vol de la Zaffetta la leggenda?

 

Le lamentation di Geremia

Volea seguir, quando giunser due frati,

Dicendo: Chi è quello? Ave Maria,

Vogliam, Signora, de vostri peccati

Fornir di confessarvi, a cio non sia

L'anima vostra scritta fra i dannati.

Et l'uno et l'altro à la Zaffa divotta

Cacciar dietro e dinanzi una carotta.

 

Ma che vad'io contando ad uno ad uno?

Eccoti che sforzata è pur la porta.

Chioggia è venuta à furore, à communo,

Per haver la sua parte de la torta.

È fatto gia mescolanza d'ogniuno.

Ciascuno di chiavarla si conforta,

Et dadosso se l'è tolto uno a pena,

Che l'altro è corso à farla trar di schena.

 

Havete visto la dal Vener Santo,

Quando ch'ogni plebeo vuol confessarsi,

Stare la turba su l'ali da canto,

Ch'al confessor, come puo, vol lanciarsi:

Cosi, mentre l'un chiava, l'altro intanto

Sta desto, et vuol con la diva attaccarsi.

Son sempre cinque o sei c'hanno 'l pie mosso,

Ch'ognun prima vorria salirle adosso.

 

Colui che col carbon segna le botte,

Si presto che segnar le puo à fatica,

Sendo passata piu che mezza notte,

Disse: Brigata, e convien pur ch'io 'l dica:

Settanta nove lancie havete rotte

Contra la vostra gagliarda nimica,

Si che una botta sola à far ci resta,

Et poi à Dio, che finita è la festa.

 

L'ultima volta far volse un piovano,

Ch'in chiavar monasteri ognialtro passa,

Il qual fessi menar suo cane à mano,

Poi la rivescia sopra d'una cassa,

Et glie lo mette in la vulva e ne l'ano;

Et stringendo 'l poltron la testa abbassa,

Perche 'l fetore ammorba il can gentile

De l'oglio humano et de l'onto sottile.

 

Un miro d'oglio e di buttiro havea

In corpo la Zaffetta a pena viva,

Il qual di dietro e dinanzi piovea

Su i calcagni e su i piei con foggia schiva.

Onde 'l piovan per lo suo can chiedea

Di quelle carezzine con che priva

Sua Signoria i suoi morosi cari

Di cervello, d'honore e di dinari.

 

Ma perche 'l giorno ne vien à staffetta,

Il gentilhuom che l'annontio 'l bel gioco

In camera entra, et via caccia con fretta

Il piovan goffo, gaglioffo e da poco;

Poi con una sua dolce predichetta

Riconforta Madonna Angiola un poco,

Et le fa creder ch'un soverchio amore

È stata la cagion d'un tanto errore.

 

Havete (disse) voi persa la vita,

Per ottanta con gratia chiavature?

Hor sete voi la prima in cio fornita?

Per tutto 'l mondo son de le sciagure.

Ci havete obligo assai, sendone uscita

Sana per tutto, benche grosse e dure

Siano state le lancie ne la giostra,

Eterna gloria à la Signoria vostra.

 

L'Angela piange e dice: O sventurata,

Come comparirai fra le persone?

La mia grandezza in tutto è ruinata.

Son'io da strapazzar con un trentone?

Monaca mi vo far per disperata,

Ne fin ch'io vivo piu farmi al balcone.

Et cio dicendo il corpo le fa motto,

Ond'ella ando sospirando al condotto.

 

Nel render le borsette parse un frate,

Che di minestre scaricasse 'l ventre,

Et una squadra d'anime non nate,

Convien che ne la bocca al condotto entre,

In mandragole, in rane trasformate,

In scorpioni, in tarantole; e mentre

Il suo bisogno al condotto facea,

L'oglio favale per tutto correa.

 

Col suspiramus lachrimarum valle

Rivestissi levata dal condotto,

Pregando il gentilhuom, con basse spalle,

Che del trentuno suo non faccia motto.

Il da ben sotio il giuramento dalle

Che solamente dira che fur otto,

Et cosi de fottenti il gran collegio

Le fe la gratia, e dielle 'l privilegio.

 

Poi trovossi una barca da melloni,

E piantataci su sua Signoria,

Fu menata à Venetia senza suoni

Che l'havrian tratta la meninconia.

Rimasti à Chioggia, quei compagni buoni

Scrisser per ogni muro e in ogni via

Come l'Angela Zaffa nel trent'uno,

À i sei d'Aprile, habbia havuto 'l trentuno.

 

Hor la Zaffetta è giunta in casa, e botta.

Subbia, chiama e bestemmia in voci ladre.

Di bastonar le massare borbotta,

Onde l'aperse la riva sua madre,

Et vedendo la figlia mal condotta,

Chiama Borrino, suo addottivo padre,

Et serrata la riva su le scale,

Stramorti la puttana universale.

 

Posta nel letto, d'aceto rosato

Bagnati i polsi, et di fresche acque il viso,

Lo spirto mariol l'è ritornato;

Et riguardando la sua madre in viso,

Disse: Quel traditor, che m'ha menato

A Chioggia, ch'ei sia arso et sia ucciso;

Dar m'ha fatto un trentuno il traditore.

Mio pare, i vo che gli mangiate 'l core.

 

Quando la madre l'alza i panni, e vede

Il suo quadro, e 'l suo tondo rosso, e rossa,

E l'uno e l'altro enfiato, certo crede

In fra due hore andarsene in la fossa,

Et con gran pianto il suo barbiero chiede,

Che venne presto, e sta in dubbio se possa

Guarirla o no, ma pur con certa ontione

L'unghie 'l seder, e l'unghie 'l pettiglione.

 

Lo sbisao bestial Borrin feroce,

Col pistolese in man, stringendo i denti,

In portico spasseggia, e ad alta voce

Dice mille: Vo farne mal contenti.

Fa su le ditta il segno de la croce,

Et su ci giura mille sacramenti

Che vuol far diventar sangue il suo rio:

Ah! poltron mondo! ah! benedetto, Dio!

 

Gia per Venetia è 'l trentun divolgato.

De la Zaffetta è pieno ogni bordello,

Ne pur'un sol s'è in la cita trovato

Che non esalti chi l'ha dato quello.

In fino il buon compagno Gioan Donato,

Et Lunardo da Pesar, buono e bello,

Han caro ogni suo mal, perch'ella impari

Con le soie à burlar con i suoi pari.

 

Venner da Chioggia à Venetia di botto

I mastri che punir la volser bene,

Et per tutto notar numero otto,

Poi ch'ottanta notar non si conviene,

Che l'han promesso, e non l'havrebbon rotto

Il privilegio ch'ella appresso tiene;

Et ciascun che lo legge benedice

I mastri à castigar la meretrice.

 

La Zaffetta ha serrato ogni balcone.

In casa stassi, come fusse morta.

Il suo rio non fa piu reputatione.

Non apriria al Prencipe la porta.

Non mangia o dorme; e trista in un cantone

S'è post'al scuro, et mai non si conforta;

Et quando che di Chioggia si ricorda,

Si lascia cader giu come balorda.

 

I Signor cinque e i capi de i sestieri,

À cui n'ando la querela volando,

Ridendo de i carnefici cristeri,

Di far l'esecution la van soiando;

Onde i terrieri e tutti i forestieri

Del bene merto suo vanno parlando,

Tal che per tutta Italia ognuno canta

Numero otto, id est numero ottanta.

 

L'Angela stassi peggio che romita

In cordoglio, in silentio, sobbria e casta.

Passan sei giorni, è presso che guarita.

Altro non dice, co i suspir, che: Basta.

Gia la vergogna l'è di mente uscita.

Non sentendosi piu ne i sessi guasta,

Piu sfacciata che prima, ladra e ghiotta,

In su 'l balcon fa la Regina Isotta.

 

Forse che pensa diventar migliore,

Non soiar, non tradire et non rubbare?

Forse che pensa al suo perduto honore,

Ch'una puttana faria vergognare?

Ma pensa piu che mai cavare 'l core

À quelli che la corron' à adorare,

Et per una vestura in nuova foggia,

Vol far la pace col trentun da Chioggia.

 

Io non mai ho parlato à la Zaffetta,

Et l'havea per Signora alta e divina.

Ma 'l conte Urluro in ca di Vienna, letta

M'ha la ribalda sua vita assassina,

Ond'io tengo piu buona et piu perfetta

La mia Errante Helena Ballarina;

Et se l'Errante è da ben piu di lei,

Iddio Cupido, miserere mei.

 

Hor le puttane, c'han l'arlasso inteso,

Si risseraron sbigottite tutte,

Fra lor pensando s'han qualch'uno offeso,

Che caccan di mangiar di quelle frutte;

Et s'un cento ducati havesse speso,

Non mai di casa fuor l'havria condutte;

Ne à Lio, ne à la Zuecca, o in barca vanno,

Tanta paura di quel trentun'hanno.

 

Ma Dio volesse, puttane mie care,

Che l'esempio di lei vi fosse in core,

Che saria cosa santa il puttanare,

Et ci s'acquistaria spasso et honore.

Se, quando un gentilhuom vi vol chiavare,

De la Zaffa pensaste al dishonore,

Dicendo voi di si l'osservereste,

Et le vie d'ingrandirsi sarian queste.

 

S'un che v'ama, superbe cortigiane,

Trovasse in voi punto di cortesia,

Discretion ne la bocca et ne le mane,

Et stimare colui che vi disia,

Con dir il vero anchuo, come domane,

Et non follate e soie tutta via,

Senz'essergli richiesto, ei vi darebbe

L'anima e 'l core, e poco gli parrebbe.

 

Saria pur gran piacere à dir': Io amo

Una donna ch'accetto ha 'l mio servire,

La qual vien sempre à me quand'io la chiamo,

Ne mi vol ingannar ne far fallire,

Et senza lite ognihor d'accordo siamo.

S'io le do, piglia, et non ardisce à dire:

Dammi, fammi, se non ti faccio e dico,

Ne à la taglia mi pon, come nimico.

 

Saria ben spilorcio e ben furfante,

Un che la sua morosa ognihor chiavasse,

E 'l suo bisogno vedendol'inante,

Come la vita sua non l'aiutasse.

Ma gliè 'l bordel quest'esser vostro amante,

Et credo, se 'l thesoro un di v'amasse,

Fallirebbe de l'altro, com'ha fatto

Per girvi dietro al cul questo e quel matto.

 

Un giunge in casa de la sua Signora,

Et giunto à pena, vien via la massara

Pe i soldi, pel savon; poi esce fuora

La madre, che par proprio il cento para;

E tanto soia te la traditora,

Ch'uscir bisogna di natura avara.

Eccoti adosso al fin la Diva corsa,

Che bascia te, per basciar poi la borsa.

 

Cuor mio, pare mio, vecchietto mio,

Se mi vuoi ben, comprami trenta braccia

Di raso, o d'ormesin, c'hoggi 'l vogli'io.

Ti bascia gliocchi, la bocca e la faccia,

Tal che vi scapperia Domenedio;

Ne giova à te che tu 'l cattivo faccia,

Perche 'l cotal, che ti si rizza, vole

Che le paghi co i fatti le parole.

 

Et mentre ti svaleggia e à sacco mette:

Vien (dice) à dormir meco, e verrai presto;

Et per la propria sera ti promette;

Et tu, coglion, corri à mandarle il cesto.

Compri in persona mille novellette,

Che ti par che 'l tuo honor ricchieda questo,

Et quel c'hai tu comprato, un'altro cena:

Tu stai di fuor, rodendo la catena.

 

Spassegiato quattr'hore pien di stizza,

Tosto corri à vestirti à la foresta.

Esci di casa, et vuoi la slandra chizza

Scannar, brusciar, con ira et con tempesta.

Intanto il tabernacol ti si rizza,

Et à subbiar torni, et fai la voce mesta.

La massara al balcon dice: Messere,

State un poco, e lasciatevi vedere.

 

In questo mezzo il martel, che lavora,

T'apre la borsa, et volano i presenti,

E al fin resti à dormir con la Signora,

Che ti squinterna mille sacramenti

Che non puote cenar con teco allhora;

Et tu dici fra te: Porca, tu menti.

Se Christo vuol ch'io mi snamori mai,

Com'un'huom s'assassina vederai.

 

La mattina ti lievi et mandi il fante

Per la tua vesta, et lasci in casa à lei

Da stravestir i drappi, e la furfante

Rubba ogni cosa con mani e co i piei.

Mandi per essi, et datti lunghe tante,

Che bestemiando e ringratiando i Dei,

È forza che mai piu non glie le chieggia,

Ma che degli altri ti faccia et proveggia.

 

Una scuffia che lasci de la notte

Piu non si vede et piu non si ritrova.

Una camiscia tua de le piu rotte

Ti toglie, come fusse bella e nova.

Et per Dio! che ne i boschi et ne le grotte

Dove che i malandrin fanno lor prova,

Con l'oro in man con piu sicurta vassi,

Che fra queste puttane, ohime! non fassi.

 

Al fin gliarlassi et i danar mancati,

Et il tempo perduto, e 'l dishonore,

E 'l viver sempre mai da disperati,

La ragion, l'ira, e 'l dispetto, e 'l dolore,

Con quel rancor che si sfratano i frati,

Esci di man del vil asino Amore,

Et la mente spezzata fatta sana,

Corri à furor contra la tua puttana.

 

Le togli cariuol, casse, e spalliere,

Perche le comperaro i tuoi danari.

Le sfreggi 'l volto bene et volentiere,

E 'l trentun le fai dar fin da i beccari,

Con bastonate et staffilate fiere,

A manu propria da i fachin preclari,

À le massare, à la ruffiana madre,

Con rise al cielo spensierate e ladre.

 

Cose ordinarie son le romancine.

Cosi le porte tutte impegolate.

Le vostre benemerite ruine

San gliamici perduti, o sciagurate,

O poverette, o mendiche, o meschine,

O ladre, o brutte, o ghiotte, o scelerate;

Credete hor al Venier: mutate vita,

Se non il ponte à star seco v'invita.

 

Ma io san pazzo ad esortarvi, e dire

Che diventiate gentili e divine.

Puttane, ho detto mal, vommi ridire

Siate piu ladre, ribalde, assassine;

Non vi restate à rubbar et tradire

Senza misericordia et senza fine,

Perche non c'è altro rimedio e via

À cavarci del capo la pazzia.

 

S'elle fusser da bene, com'ho detto,

Da l'altro di n'andremmo à l'hospedale.

Ognun si caverebbe il cor del petto,

Se vivessin le vacche à la reale.

Il farci ognhor morire di dispetto,

Et il trattarci ognhor peggio che male,

Et il farci fallire à grand'honore,

Ci cava al fin del cul Madonna e Amore.

 

Rubbate pur à due mani et à ognuno;

Accumulate pur gioie e catene,

Che la vecchiezza vi riduce in uno

Tutto quel che pompose hora vi tiene,

Et peggio anchor l'ingordo et importuno

Mal francioso, ch'un tempo v'intertiene,

Vi rubba in otto di quel che furate

Ne la vostra fottuta e verde etate.

 

Ma e saria un piacer di paradiso,

Se 'l mal francese, ch'altro è che la tossa,

La robba sol vi mangiasse improviso.

Il caso è che vi mangia i nervi e l'ossa.

Et poi le man, gliorecchi, gliocchi e 'l viso

Vi mangia, e 'l cor, e v'invita à la fossa,

Che cosi vuole Iddio, che 'l tempo aspetta,

Per far de i matti amorosi vendetta.

 

Si che, Zaffetta mia, vivi à l'antica,

Cosi come sei vissa, o vivi peggio.

Cosi tu, porca Errante, mia nimica,

Et voi, altre puttane, perch'io veggio

Ch'à uscirvi di man saria fatica,

Se voi sedeste in puttanesco seggio

Con le virtu c'ho sopra detto tante,

E usque a morte ognun vi saria amante.

 

Una fra mille millanta migliara

Di puttane viventi à nostre spese

Ho conosciuta bella, buona e cara,

Et da bene al possibile e cortese,

Che Giacoma chiamossi da Ferrara,

O vogliam dir Giacoma Ferrarese,

Che per esser da bene, e bella, e buona,

In questi giorni s'è morta in persona.

 

Altro non ho da dir ch'io mi ricordi,

Se non ch'ognun tien lega di cicale,

E 'l mondo seria stanza da balordi,

Se non fusse lo spasso del dir male,

Il mangiar la luganega co i tordi,

Con gliaranci, col pevere e col sale.

Cosi il dir mal al gusto human non spiace.

Datevi adunque, Angela diva, pace.

 

Se 'l Re, se 'l Pappa, e se l'Imperatore

Sopportan che gli sia detto coglioni,

Del mio burlar non pigliate dolore;

Et se 'l pigliate pur, Dio ve 'l perdoni.

Anch'io vo la mia parte de l'honore.

Son gentilhuomo atto à donarvi doni.

Venni, et subbiai per farvi riverenza,

Ma dal balcon mi fu data licenza.

 

La nostra Signoria con gratia degna,

E 'l Prencipe ciascun, che parlar vede,

Ode con gratia et con humilta degna,

Et grand'è pur la Venetiana sede.

Ma vostra altezza, per portar l'insegna

De le puttane, esser maggior si crede

Che non è di San Marco il campanile;

Pero dato vi fu il trentun gentile.

 

IL FINE

LA ZAFFETTA

 

Puisque chacun aussi ignorant du latin que de la langue vulgaire
Avec un jugement de brebis ignorante
Raconte que c'est le très fameux Aretino
Qui a composé la Putain Errante
Je viens chanter ici comment la Zaffetta
Se trouva prise au piège à la Chioggia
Pour les démentir, pour établir la différence qu'il y a entre le pain et le vin,
Et pour prouver qu'une canaille est une canaille

 

Pourquoi faut-il s'étonner, sottes gens
Si j'ai naturellement un style très fameux ?
Aretino, mi-homme, mi-dieu
M'a t-il prêté son miraculeux talent ?

Celui qui veut guérir en un jour du mal français
Se tourne-t-il vers le ciel pour appeler Clio ?

Celui qui, comme moi veut devenir poète
Invoque-t-il Aretino, vrai prophète ?

 

Ne rougissez vous pas, grossiers bœufs
Quand vous dites que le maître de ceux qui savent
A répandu sur moi ses hautes connaissances
Comme les pédants font à leurs disciples ?
Il se peut que Saint Pierre ne soit pas parmi vous,

Gens du peuple au mauvais esprit,

Et que vous ne discerniez l'urine de l'encre
Et le membre priapique du pater noster.

 

Si l'Aretino avait composé ma Putain
Comme vous le dites, babouins,
Ne croyez vous pas qu'elle sonnerait autrement ?
Autres soprani, autres violoncelles.
Ses rimes paraîtraient orthodoxes
Et ses vers seraient papaux
Et puis Pietro, selon moi, c'est certain,
N'a jamais vu une chemise de femme.

 

Mais vous pourriez dire : il t'a peut-être aidé
A finir l'œuvre pour qu'elle reste éternelle.
Je dis non, parce que je ne suis pas un effronté,
Comme l'est le présomptueux voleur Berna,
Qui après avoir copié Orlando,
Avec de mauvaises rimes de taverne et de comptoir
A gravé son nom dessus
Comme si c'était l'œuvre son œuvre.

 

Mais revenons à notre Errante et aux mauvaises langues
Qui se hâtent à émettre un jugement
Et ont dans la cervelle moins de sel
Que n'en a un poulet en sauce.
Je l'ai écrite le plus simplement possible
Et pour qu'au plus vite les choses soient claires,
N'ayant pour l'heure d'autre but,
Je chante la légende de la Zaffetta

 

Pour deux raisons, Zaffetta, en style divin
Je viens chanter ton histoire
La première pour démontrer que l'Aretino
N'est pour rien dans les vers de l'Errante ;
La deuxième est que mon tempérament
Me porte à donner satisfaction à ces quelques fous
Qui m'obligent à dire dans une nouvelle forme
Ce Trente et un qui te fut rendu à Chioggia.

Dieu sait, Madame, s'il m'est douloureux
Votre trente et un parce que je vous aime et vous adore
Mais à celui qui manque de parole à ses amis,
On ne peut prêter des écus d'or.
Vous même savez que celui qui veut baiser
Ou dans la fente ou dans le cul doit débourser.
Donc que puis-je faire si chacun veut
Que je chante le récit du trente et un ?

Mon Angela, vous devez bien savoir
Que d'une manière quelconque, tôt ou tard
Chaque déesse à son trente et un et le mal français
Chacun le tient pour clair et évident.

Avec le trente et un et avec quelque déplaisir
Vous êtes sortie d'angoisse à vos dépens.
Maintenant, ne soyez plus préoccupée,
Oubliez cette histoire, chassez la vos pensées.

 

Et moi, Signora Angela Zaffa, pendant que
Vous découvrirez le mal français caché en vous
Tel un évangéliste, je chante votre Trente et un.
Et si je me trompe, vous me corrigerez
Parce les évènements vous sont arrivés à vous
Et mieux que tous, vous les avez à l'esprit,

Vous qui n'avez pas su tirer l'âme
Et le cœur à chacun des Trente et un.

 

Infâmes putains, qui dédaignez tellement
De garder pour amant un gentilhomme,
D'un gentilhomme, écoutez la plaisanterie
Faite à une gentille truie galante
Qui a le privilège d'être citée
Parmi les vaches de la Putain Errante.
Et je vous promets sans aucun doute
De dire ce que j'ai à vous dire.

 

Grâce à Dieu, il y a en Vénétie, Monsieur,
Trois ou quatre légions de putains,
Qui sont la ruine des patriciens comme des plébéiens
Une part dans les grandes maisons, l'autre dans les bordels.
Mais parmi tant de milliers, cinq ou six
A force d'artifices et de maquillages,
Cachant leur laideur écœurante
Finissent par paraître quelque chose

 

Parmi ce petit nombre, il n'y en a qu'une
Qui tient la première place au milieu de cette secte misérable.
Ce n'est pas la Grifa, ce n'est pas la Bigola
Que mes paroles encensent
Aidez moi à dire son nom ;
Le nom de son altesse est Zaffetta,
Altesse parce qu'ayant du sang royal,
Le bestial Borrin étant son beau père.

 

Sa généalogie nous apprend
Qu'elle est fille du procurateur
De la maison Grimaldi, qui à sa cruelle mère fit en sorte
Qu'elle l'ait à l'intérieur puis à l'extérieur.
Mais il me vient l'envie
De chanter exactement, en beaux termes
Son grand parcours, et comment, partie de rien
Elle a acquit ses galons de putain

 

Elle ne peut dire le contraire ; les putains
Veulent toujours paraître, du début à la fin.
Elles commencent à grandir dans la misère

Et les pauvrettes finissent dans la misère
Il suffit que la Zaffetta se pare d'or et de soie
Avec de somptueux habits divins
Pour qu'elle naisse dans la disgrâce, et ce, non pour sa vertu,
Sa beauté, sa grâce qu'elle avait déjà en naissant.

 

Elle a acquit sa haute réputation
Parce qu'à chaque instant, nos gentilhommes,
Se livrent à une espèce de compétition
Et par amour, par désir
Veulent l'un et l'autre la posséder.
A cette harpie, qui se rit
De celui qui l'aime toujours plus,
Ils donnent sans compter leur âme et leur argent.

 

Pardonnez moi jeunes gens; l'amour
Que je vous porte me fait dire ce que je dis.
Vous savez bien que je suis votre serviteur
Et aussi votre compagnon, frère et ami.
J'ai sur la langue ce que j'ai dans le cœur.
Je l'ai dit et le répéterai : vos compétitions vous abaissent
Et la portent elle, en hauteur,
Qu'elle n'atteint pas seulement par sa grâce et sa beauté.

 

Maintenant, qu'est-il arrivé ? La divine Zaffetta
Disons le, est belle, gracieuse et vertueuse.
Elle a de l'esprit et par ses artifices,
Elle prend de l'argent à chacun
De ceux du groupe d'admirateurs qui l'entoure.
Elle avait un amant, c'est une chose bien agréable,
Rempli de gentillesse et de courtoisie.
Et si ce n'était vrai, je ne vous le dirais.

 

Le gentilhomme qui s'était fait
Son prodigue amant, pour son malheur,
Etait toujours son serviteur attentif
Comme si elle n'était pas Zaffetta, mais Déesse.
De sorte que chacun pensait que
La coquine obtenait honnêtement ce qu'elle obtenait.
Dieu! Que les mains des tziganes, des traîtres,
Des usuriers sont plus honnêtes que celles là!

C'est une grande chose à dire que l'avarice
Etreint une putain de sorte qu'elle arrive toujours,
A force de trahisons et de flatteries
A te dérober un vieux gant, un bout de ruban
Et autre chose de peu de prix.
C'est une habitude qu'elles ont
Dans le bordel où elles se tiennent
De demander tantôt ceci, tantôt cela.

Le gentil jeune homme qui était très épris,
Pour conserver l'amour de la Zaffetta
Ne regardait pas aux dépenses, comme l'aurait fait
Un cavalier pour entretenir son écurie.
Mais cette Zaffetta, loin d'être des plus braves
Lui porta un affront , comme seules
Les plus viles ont l'habitude d'en porter.
A qui leur donne le plus, plus encore elles en demandent.

 

On peut supporter facilement bien des choses :
L'esclavage et l'argent ne sont rien.
Mais cette putain qui trahit cruellement
Ton amour te porte un coup fatal.
Tu accours cette nuit pour dormir avec une Déesse
Et tu trouves un autre sous lieutenant à ta place.
La garce t'a écarté et mis à ta place
Le premier qui s'est présenté la queue dressée.

 

Le gentilhomme n'intervient pas, il reste silencieux.
Il ne dégaine pas l'épée ; pas de coups de bâton
Contre la traîtresse, la putain, l'infâme.
Au contraire, après l'affront, ayant en tête
L'idée de se venger, il redouble envers elle ses faveurs,
Il se montre amoureux comme jamais,
Il la courtise plus encore
Afin de ne pas éveiller ses soupçons.

 

Quelques jours étant passés, le gentilhomme
Commence à dire : Signora, voulez-vous
Que nous fassions un tour à Malamocco pour nous distraire ?
N'est-elle pas venue l'heure d'une promenade ?
Avec une ardeur téméraire de putain
La Signora Angela répondit alors
Joyeuse et altière: comme il vous plaira,
Pourvu que nous soyons revenus ce soir à Venise.

 

Sans tarder l'amant donna les ordres
De l'infâme assassinat ;
Mais avec un doux et agréable regard
Il fait appeler deux jeunes hommes.
Il envoie l'un à Chioggia
Pour mettre au point le dîner, et l'autre, écervelé
Bon compagnon sur qui il peut compter
Pour tenir compagnie à la dame.

 

Puisque le jour et l'heure où la novice
Doit prendre les voiles, sont arrivés,
On prépare une gondole solennelle
Qui, en deux coups de rames parcourt le demi mile
Qui la sépare de Malamocco.
Elle emporte joyeuse Angela
Qui fait grand constraste avec son amoureux
Se comportant comme épouse, sur le banc des rameurs.

 

Une fois arrivée à Malamoccco
Cette courtisane très entourée
Dit malicieusement en riant :
Mon bon, où allons nous dîner ?
Et voyant fumante une perdrix,
Elle la saisit pour en faire une seule bouchée
Et en moins de temps qu'il n'en faut pour dire un Ave Maria
Avale six gorgées de Malvoisie.

 

Valeureuse dame, dit la compagnie.
Elle rit . Ses amoureux se pressent autour d'elle.
Et avec cette grâce un peu triste,
Elle tire la barbe à l'un et à l'autre
Tout en bavardant avec esprit,
Pour leur faire oublier leurs ennuis.
Elle raconte ses grandeurs et comment
Elle a acquis le nom de Zaffetta

 

Tandis qu'elle continue à parler
Tout le monde reprend la gondole.
Toute excitée, la belle courtisane
Poursuit le récit de ses grandeurs
Pendant ce temps, la barque, instruite de ce qu'elle a à faire
Se met en route pour Ghioggia.
A l'entendre parler, Angela espère trouver
Avant deux jours une maison qui lui convienne.

 

Je veux, dit la hautaine Angela
Que vous, mes amoureux puissiez me faire
Obtenir pour toujours la location de la maison Loredana.
Sinon, j'en mourrai de déplaisir
Puis elle commence à chanter une pavane,
Où déjà elle semble jouir de la nouvelle demeure
Elle veut acheter des divans, des tissus précieux
Et faire couvrir d'or et de soie cinq ou six lits.

 

Voilà maintenant qu'elle réclame des chenets,

Des têtes de feu, comme les appelle Petrarque,

Elle les veut d'argent, grands et beaux.

Elle veut une barque, six métayers, un garçon.

Elle ne veut de nourriture que de la région.

Toujours du vin dans la cave et de la farine dans le coffre.

Pour finir disons que la Borrin veut plus

Que n'en a jamais eu une reine.

 

Avec des jardins faits à sa façon

Selon les plans de son sagace amant

Elle sera la majesté de Chioggia

Et deviendra troublante quand elle apparaîtra
En disant : Ce soir, je ne dors pas ici,

Allez, gondolier, en avant ;

Tourne, vaurien (dit-elle) ; elle pleure et s'enrage

Et à force de tenacité, elle obtient satisfaction.

 

Mon âme, mon espérance, ma fille
Mon cher sang, mon bien, ma douce vie
Dit son amoureux d'une voix paisible
Ne partez pas de chez moi ce soir.
Ce que j'ai sera votre, ma petite Angela
Mon bien vous appartiendra.
Demandez, n'ayez pas honte
Que celui qui soupire pour vous ne fasse plus rêver.

 

Quand elle entendit qu'il proposait
De tout lui donner, la putain ne put alors

Se retenir de ricaner. Tout en feignant

La sincérité, elle dit vite :
Je veux une robe de velours et de perles
De celles qui se portent habituellement aux fêtes
Je veux une coiffe d'or et veux demain
Un chapelet d'ambre. 

 

La robe, la coiffe, les pater noster et
Les ave maria, les psaumes et les oraisons
Vous les aurez, ma fille pourvu qu'à l'heure
Vous me donniez sans restriction, votre corps
Répondit le gentilhomme : et vous ne les aurez pas
De vos amoureux de passage, archi couillons,
Dont vous supportez les minauderies
Les vilénies et les bastonnades.

 

Maintenant elle débarque et n'aperçoit pas derrière elle
Une barque pleine de baiseurs.
La foule accourt en furie pour voir
La fameuse pécheresse Zaffetta,
Qui porte sur le dos tant de parfums.
Elle parle comme une nymphe, se déplace d'un pas lent.
Elle s'appuie tantôt sur l'un tantôt sur l'autre
Et veut paraître l'Impératrice de Chioggia.

 

Son amoureux s'en apercut.

Pour la rendre plus altière encore
Avec une voix pleine d'admiration lui dit :

Vous avez la beauté de la lumière.
Même si la déesse Venus était là
Le monde vous trouverait meilleure
Puis ajouta : Madame, n'importe lequel de vos actes
Rendrait fou un des chioggiens.

 

Avec des soies et châles parfumés
Entrent les associés, avec sa Seigneurie
Là où étaient préparés les mets
Comme il convient pour un grand gentilhomme ;
Et chacun s'étant lavé les mains,
Tous entrent dans la salle pour dîner.
En tête de table s'assoit
La très illustre putain Zaffetta.

 

Silence à table. Quand l'odeur
Des rôtis vole partout. Elle se tait.
Avec les mains pleines, la bouche et la gorge pleines,
Elle dit seulement: c'est bon, ça me plait.
Et qui lui aurait demandé une parole de plus
Ne serait plus jamais en paix avec elle.
Elle mange et boit sans frein. Elle dévore.
Ce fut bon pour moi. Elle se croyait alors à Venise.

 

A la fin viennent les huîtres qui s'empilent
Tellement en hauteur que chacun
Crie grâce. Elle ouvre calmement
Les coquilles qui sont devant elle.
Mais qu'est ce que je raconte ? Son grand amant
Qui a tramé l'histoire du trente et un,
Prend par la main la Déesse
Disant : Mon sang, pourquoi ne pas aller au lit ?

 

Allons, répondit, un œil ouvert,
L'autre fermé, Angela la divine,
Qui, mi-endormie entre dans le lit
Ne sachant si c'était soir ou matin.
Ce gentil jeune qui n'avait pas l'habitude
D'être menée par une faquine
S'est lui même en un instant déshabillé
Mais il ne veut pas se venger, il veut baiser.

 

Cependant, comme dit Boccace, étant bon baiseur

Et sentant sa queue bien droite,

En ayant elle par malchance, tourné vers lui

Le côté solennel du derrière

Il lui donne deux coups de lance, chacun plus dur que l'autre.

Puis, plus que jamais vaillant, l'ayant maintenant tourné

Avec mépris, il lui rend ce service

Encore une autre fois devant.

 

Cette musique douce au ton grave,

Mélange de ténor, soprano et contre basse,

Qui avait rentré sa clé par derrière,

La dame en acceptait les bémols.

Elle avait chassé son sommeil.

Elle sentait son corps tout abandonné

Et tournée vers l'amant, elle dit : donne moi

Un baiser, mon amour et fais moi la chose.

 

La ruse arrive à son terme et il veut désormais

La punir au plus vite de ses malices.

Il répond : Mon corps est trop fatigué et me fait mal.

Mon âme, que diras-tu de cela ?

Et sans d'autres paroles, il sort du lit.

Il allume la lumière, il part furtif, semblant triste.

Il voit la foule qui l'attend
Rire à gorge déployé du dépit de sa compagne.

 

Après la risée, on choisit le jeune homme

Qui aura l'honneur de commencer
Le Trente et un bien mérité
Qui devra déshonoré la Zaffetta.

Sans aucune hésitation, celui qui a été choisi

Et commence à chanter

Cette allègre air en contrepoint

Tenant son membre bien ferme dans la main :

 

La petite veuve, quand elle dort seule

N'a pas raison de se plaindre de moi...

Quand elle entend de telles paroles,
Celle qui a trahi tant d'amants

Comprend qu'elle ne peut plus fuir.
Elle pose les mains sur les yeux et les cheveux

Et s'aperçoit que, pour la punir de sa lacheté

Le Trente et un va commencer

 

Voici notre compagnon, le fer en main,

Qui veut voir le visage de la Zaffetta.

L'ayant vu, sur un ton moralisateur, il dit :

Signora, je viens vous donner avis

Que cette nuit, un Trente et un royal
Vous sera donné par celui qui vous adore ;

Et il vous prie, en reconnaissant que vous le méritez

De l'accepter de bon coeur et de lui pardonner

 

Quand elle sent la fête s'annoncer

La menace lui arrache d'un coup le coeur.

Elle veut se rassasier du sang de celui

Qui brulait de lui ôter la viginité.

Puis, parce qu'elle est sage, elle est prête à s'humilier,

Laissant couler des larmes de putain et dit

Que le gentilhomme qui a donné l'ordre du Trente et un

Aura derrière lui Borrin et les autres.

 

Elle dit que la Zaffa est peut-être à Venise

Celle que chacun tient comme la première

Que c'est encore une fillette qui boit encore le lait.

Il n'est pas convenable de lui donner ce Trente et un.

Oh Dieu, mon Dieu ! Voulez-vous que je meure ?
Mon doux Seigneur, homme de bien

Si cette nuit, vous épargnez mon honneur,

Ce devant là et ce derrière là sont tout à vous..

 

Elle offre ses deux sexes, dans lesquels

Celui qui l'aime place toutes les vertus.
Mais le Trente et un qui lui touche les cuisses et les fesses

Dit qu'elle a les chairs d'une grue et d'une oie,

Parsemées de boutons, comme les manteaux,

Les chairs noires, dégoutantes, repoussantes.

Elle ne pue pas parce qu'elle chasse les mauvaises odeurs

Par la bouche et les pieds..

 

Le numéro un du gentil Trente et un

Qui, par nature, parle librement

L'invite à avoir l'âme forte

De telle sorte que la Zaffa accepte avec bravoure.

Il reconnait que c'est l'acte d'une personne vile

Qui veut se venger des femmes,

Un acte qui entrainera la colère de Dieu.

Il dit : Tourne toi là et montre moi ton chatte.

 

Sa Seigneurie s'est retournée, la tête basse

Et honteuse. Lui, le membre bien droit

Lui rentre dedans non par luxure

Mais avec plaisir, le contact lui donnant des frissons..

Et ici, Messieurs, il y a quelque chose à noter

Chose pour laquelle Malamocco envie Chioggia.

Je ne sais s'il est mieux de le taire ou de le dire

Mais que celui qui ne veut l'entendre, se bouche les oreilles.

 

Le membre de notre jeune ami

Par sa dureté ressemblait à une pierre,

Il s'engloutissait dans l'huître de la Zaffa

Allant et venant , donnant plaisir à tout son corps

Mélangeant les sensations les plus fortes.

Mais entendant un bruit, le jeune homme fait un pas
En arrière. Alors son membre sort

Et se vide de tout son suc à l'extérieur.

 

Et ainsi, alors qu'il était dehors

Le miracle se produit aux yeux de tous.

Un calendrier ne suffirait pas à raconter

La risée dont il fut alors l'objet.

Et tandis qu'Angela offrait découvertes

Les reliques, pleurant amèrement,

Voici un pécheur fou et bestial

Qui a le bâton gros comme la moitié d'un bras.

 

Sans prendre le temps de dire : Mon coeur, donne moi réconfort,

Il avance la lance bien tendue, en arrêt,

Avec un regard vil et tordu,

Lui ouvre les cuisses et la penètre sans ménagement

La Zaffa crie : Ah! Chien tu m'as tué.

La tête penchée sur le rebord du lit

Elle reste angoissée et meurtrie

Mais déjà un autre vient prendre la place du pécheur.

 

Lui aussi pécheur, celui-ci qui se présente pour la baiser
Lui paraît de nature plutôt pieuse.

Elle se lance à ses pieds en s'agenouillant

Et lui dit : Homme de bien, qui que tu sois,

Si tu arrives à me faire échapper
Par quelque moyen que ce soit à ces hommes,
Je te donnerai ces chaines et ces bijoux
Et je te.contenterai dix ou vingt fois.

 

Je ne veux ni chaines, ni bijoux
Je veux foutre, dit calmement Marco.

Et l'ayant retournée  du bon côté, côté des reins

Il déchargea tranquillement par deux fois.

Après quoi, ce fut le tour d'un gondolier

Qui préfère la baiser de bon coeur

Plutôt que de goûter sur la barque
Avec son bocal de vin de Marca.

 

Pendant que le rameur faisait ses affaires
Voici que la cohue se fait à la porte
De la chambre, parce que rapides
Sont accourus les habitants de Chioggia pour baiser
Comme sur les toits de Genaro les chats
Accourent avec des miaulements tout excités
Et la Zaffetta infortunée dit : hélas!
Le gentilhomme, de l'extérieur, lui répond :

 

Madame, le monde est fait de revers.
La femme n'a pas toujours le dessus.
A Chioggia, tombe celle qui à Venise était montée.

Même les plus rusées se font prendre.
Vous riiez de moi pendant le carnaval
Quand j'avais de votre amour le deuil
Maintenant en Carême, je ris de vous.
Ainsi le jeu est égal entre nous.

 

Ah! Cruel , ingrat où sont

Les flatteries que vous me faisiez, quand, autour du rôti

Chaque instant paraissait bon.

Me donneras-tu tes faveurs,ma petite, disiez vous alors ?

Monseigneur, je vous demande pardon et

Si vous avez la bonté de stopper là

Le Trente et un que vous voulez m'imposer

Je serai pour toujours votre esclave et votre servante.

 

Le gentilhomme trahi par elle répondit :

Maintenant, c'est l'heure de la grande punition,

Parce qu'il faut exaucer mes souhaits.

Restez en prière, le coeur repentant.

Alors, arrive un homme solitaire
Qui n'avait pas plus de morale

Qu'un traître , un turc ou un juif

Et qui lui ouvre son petit cul avec sa clé..

 

L'un tenait à la main un crayon, marquant au mur
Un signe à chaque coup qui lui était donné
Et quand le sixième arriva
Il cria d'une forte voix : Et de six
S'en vient alors un jardinier à la queue dure
En disant : Tu es mon espérance
Et sans autre façon il accomplit vite
Son affaire, faite dans un lieu honnête.

 

Et de sept, dit celui au crayon.

Dépêchez vous jeunes gens, moi je suis pressé.
C'est le tour d'un serviteur paresseux,
Pas habitué à manger la chair de chevrette.
Il s'y prend de telle manière
Qu'il fait vomir à la pauvrette
Tout ce qu'elle avait mangé, puis tranquillement
Il lui plante son gros radis par derrière

 

Le numéro huit est noté sur le mur.
Mais c'est ici que le meilleur de la comédie
Commence ; le second acte s'ouvre.
Un faquin au souffle court sort
Sort son poireau qu'il veut planter dans le cul
De celle qui a été déjà mise à sac
Mais le bon compagnon sent tellement de douceur
Qu'il vient mourir sur le trou comme une crapaud.

 

Il se relève et fait un saut de fou
En criant à la faquine : sale vache.
Il ressemble au coq qui vient de rendre ses hommages
A sa belle poule amoureuse.
L'ayant monté, il est écarté d'un trait
Il chante une fois et il se remet à marcher en picorant.
Ainsi le faquin, satisfait d'avoir jeté sa gourme
Retourne lier je ne sais quel ballot de paille

 

La jeune fille, humiliée, tête basse
Pleurait à haute voix, si douloureusement
Que le plus satanique en aurait été touché
Et que le bâtard en colère lui aurait fait grâce.
Elle disait : Dieu! Pourquoi le cœur ne me lâche-t-il pas,
Afin que je ne puisse entendre les gens
A Saint Marc et là bas au Frari , dire chacun
Que j'en ai assouvi dignement trente et un ?

 

Celle ci ou celle là pourrait même
Etre contente, parce que jalouse de mon bon sort.
Venier fera répandre la nouvelle
Parce qu'un soir je n'ai voulu lui ouvrir ma porte.
Déjà chaque gondolier parle de moi
Et il me semble entendre les gamins
Crier à haute voix sur le pont du Rialto :
Qui veut connaître la légende de la Zaffetta ?

Les lamentations de Jérémie
Allaient suivre quand arrivèrent deux frères
En disant : Qui est cette celle-ci  Ave Maria,
Nous voulons, Madame, de vos péchés
Vous donner l'occasion de vous confesser
Afin que votre âme ne soit pas damnée
Et l'un et l'autre à la Zaffetta dévote
Rentrent par derrière et par devant une carotte.

Mais m'en vais-je vous les conter un par un ?

Voici maintenant que la porte a été forcée.

Tout Chioggia arrive en furie

Pour avoir sa part du gâteau.

C'est un grand enchevêtrement de corps.

Chacun est satisfait de l'avoir baisé ;

A peine l'un s'est-il retiré,

Que le suivant lui tombe sur le dos.

 

Avez vous déjà vu le Vendredi Saint

Quand chaque chrétien se presse
Pour aller à confesse. De tout côté,

On veut arriver le premier au confesseur.

Ainsi, pendant que l'un la baise, l'autre se prépare
Et veut se coller à la déesse
Ils sont toujours cinq ou six, qui ont le pied levé
Prêts chacun à lu sauter dessus en premier.

Celui qui, avec le crayon, marque les coups
Doit le faire si vite, qu'il en éprouve fatigue.
Minuit étant passé, il dit :
Compagnie, il convient que je vous informe,
Soixante dix neuf coups de lance ont été portés
Contre votre gaillarde ennemie.
Il ne reste plus qu'un assaut
Et la fête sera finie.

Le dernier fut un curé
Qui passait de monastère en monastère pour baiser
Il tenait sa bite dans la main.
Il renversa la Zaffetta sur une caisse
Et lui mit dans la vulve et l'anus.
Mais le glouton tenait la tête basse
Parce que la puanteur de l'huile humaine
Et de son onguent subtil empestait sa personne.

 

Zaffetta à peine encore vivante avait

Dans le corps des litres d'huile et de beurre.

Par devant et par derrière, ils lui retombaient

Sur les pieds et les talons de manière écoeurante.

Notre curé réclame alors pour son chien

De ces petites caresses qu'elle sait si bien

Donner à ses chers amoureux

D'esprit, d'honneur et d'argent.

 

Mais comme le jour est sur le point d'apparaître

Le gentilhomme qui a ordonné cette belle partie

Entre dans la chambre et chasse rapidement

Le petit curé maladroit, penaud.

Puis avec une douce voix de prédicateur

Réconforte un peu l'affligée Zaffa

Et tente de lui faire croire qu'un excès d'amour

Est à l'origine d'une si grande erreur.

 

Avez-vous, dit-il perdu la vie
Pour avoir été baisé quatre vingt fois ?

Etes vous la première à qui cela arrive ?

Il y a dans le monde tellement de malheurs.

Bien que pendant le manège, vous ayez du
En subir des grosses et bien dures,
Vous en êtes sortie vivante.

Gloire éternelle à votre bravoure.

 

Angela pleure et dit: Oh malheureuse
Comment pourrais-je encore me montrer ?
Ma grandeur est toute ruinée.
Je suis tombée dans le piège du trente et un.
Désespérée je veux devenir religieuse.

Vivante, je ne veux plus jamais paraître au balcon.
Et tout en disant cela, son corps est secoué

Et soupirant, elle vomit.

 

Dans sa manière de rendre, on aurait dit un frère,

Qui se décharge le ventre d'un potage

Contenant une légion d'âmes non nées.

De la bouche, elle rejete au conduit

Des mandragores transformées en grenouilles,
Des tarentules, des scorpions, et tandis
Qu'elle faisait ses besoins aux toilettes,

Le sperme lui coulait tout le long du corps.

 

Tandis qu'un torrent de larmes s'écoule,

Elle se relève du siège, se rhabille,

Et prie le gentilhomme, la tête basse,

Qu'il ne soit pas dit mot du Trente et un.

Celui-ci jure sollenellement
Qu'il dira qu'ils furent seulement huit,

Lui faisant grâce du grand nombre de ses baiseurs.
C'est le privilège qu'il lui accorde.

 

Puis ayant trouvé une barque chargée de melons,
Il y plante dessus sa Dame.
Elle est emmenée à Venise sans paroles

Qui auraient pu atténuer sa tristesse.

Restés à Chioggia, les bons compagnons
Ecrivent sur chaque mur, dans chaque rue
Comment, le six avril, Angela Zaffa

A du subir le Trente et un.

 

Maintenant, la Zaffetta a rejoint Venise, à grand peine.

Elle appelle, elle blasphème d'une voix confuse,

Tout en balbutiant, elle demande vengeance.

Quand sa mère l'aperçoit sur le canal,

Voyant sa fille dans un tel état,
Elle appelle Borrin, son père adoptif

Et l'aide à regagner la rive où finalement

La putain universelle s'évanouit.

 

Installée sur le lit, les poignets baignés
Dans le vinaigre rosé, de l'eau fraîche sur le visage,

L'esprit clair lui est revenu

Et regardant sa mère en face

Elle dit : ce traître qui m'a emmené à Chioggia,

Qu'il soit brûlé, qu'il soit tué.

Le traître m'a infligé le Trente et un.

Je veux que vous lui rongiez le coeur.

 

Quand sa mère retire ses pansements et voit

Son cul et sa fente tout rouges

L'un et l'autre tout enflés, elle est certaine

Qu'avant deux heures, elle sera dans la fosse.

Pleurant à chaudes larmes, elle fait appeler le barbier.

Celui-ci arrive tout de suite et n'est pas sur
De pouvoir la guérir. Cependant d'un certain onguent

Il lui enduit le derrière et le pubis.

 

Courroucé, le bestial Borrin
Le pistolet à la main, serrant les dents
Va de porte en porte et crie

A haute voix : Je vais faire un malheur.

Il fait avec les doigts le signe de la croix

Et jure par tous les sacrements
Qu'il veut transformer l'eau du canal en sang.

Ah ! monde maudit ! Ah! Béni soit dieu !

 

Déjà dans tout Venise, le récit du Trente et un

Est parvenu dans chaque bordel.

On ne trouve personne dans toute la ville

Qui ne se réjouisse de l'aventure.

Enfin le bon camarade Gioan Donato
Et Lunardo da Pesar, beau et bon

Ont tous les deux pitié de sa douleur

Et lui épargne les railleries.

 

Les maîtres qui voulurent bien la punir
Arrivent en hâte de Chioggia à Venise,

Pour noter de toute part le numéro huit

Comme il avait été convenu

Parce qu'ils respectent la promesse faite
De ne pas marquer le numéro quatre vingt.

Chacun de ceux qui le lisent

Bénit les maîtres du chatiment à la courtisane

 

La Zaffetta a fermé tous les volets.

Elle reste dans la maison comme une morte.

Sa maison n'attire plus personne.

Elle n'ouvrirait pas sa porte même à un prince.

Elle ne mange pas, elle ne dort pas ; elle reste triste
Dans un coin obscur et ne trouve pas le réconfort.

Quand elle se rappelle de Chioggia,

Elle se laisse tomber lourde comme une masse.

 

Les cinq seigneurs de la nuit et les chefs de quartier

Aux oreilles desquels l'aventure est arrivée

Tout en riant des exécuteurs du Trente et un

Essaient de faire justice.

Les vénitiens comme les étrangers

Parlent du bien mérité châtiment,

De telle façon que dans toute l'Italie, on chante déjà le numéro huit

C'est à dire le numéro quatre vingt.

 

Angela reste pire que seule,

Silencieuse, comme en deuil, chaste et sobre.

Six jours passent. Elle est presque guérie

D'abord elle ne dit rien, puis enfin soupire : Assez !.

Déjà la honte lui est sortie de l'esprit.

Ne sentant plus de douleur dans les sexes,

Plus effrontée encore qu'avant, provocante et conquérante

Elle est sur son balcon, telle la Reine Yseult.

 

Peut-être pense-t-elle devenir meilleure,

Ne plus trahir, ne plus railler, ne plus mentir ?

Peut-être pense-t-elle à son honneur perdu ?,

Pourquoi une putain devrait-elle avoir honte ?

Mais elle pense plus que jamais à prendre le coeur

De tous ceux qui accourent pour l'adorer.

Et endossant un habit de nouvelle coupe

Elle veut oublier l'épisode de Chioggia.

 

Je n'ai jamais parlé à la Zaffetta,

Et la tenait pour une Dame haute et divine.

Mais le comte Urlura de la maison de Vienne

M'a rapporté sa vie assassine.

Si bien que je tiens aujourd'hui pour meilleure et plus parfaite

Ma Putain Errante Elena Ballarina;

Et si cela est vrai, alors

Grand Dieu Cupidon, ayez pitié de moi.

 

Maintenant, toutes les putains qui ont eu connaissance
Du Trente et un, craintives se méfient

Se demandant si elles ont offensé quelqu'un

Prêt à agir de cette façon.

Et même si on leur promettait cent ducats

Jamais elles n'accepteraient d'aller

Ni au Lido, ni à la Giudecca
Tellement elles auraient peur du Trente et un.

 

Que Dieu veuille, mes chères putains,

Que cet exemple reste dans vos coeurs.

C'est une chose sainte que de tapiner

On y gagne honneur et plaisir.

Mais quand un gentilhomme veut vous baiser
Penser au déshonneur de la Zaffa,

En disant oui, demandez vous

Si les voies pour devenir plus grandes sont bien celles-ci.

 

Superbes courtisanes, si quelqu'un qui vous aime

Trouvait en vous courtoisie

Discretion dans le parler et dans le faire,

Estime de celui qui vous désire,

Sincérité aujourd'hui comme demain,

Aucune folie, aucun mensonge

Sans que vous ayez à lui demander, il vous donnerait
Son âme et son coeur et cela lui paraîtrait bien peu..

 

C'est un grand plaisir de dire : J'aime

Une femme qui accepte de me servir,

Qui est toujours là quand je l'appelle

Qui ne cherche pas à me mentir ou à me tromper,

Avec laquelle je suis toujours d'accord.

Si je lui donne, elle prend mais ne réclame pas
Elle ne dit pas : donne moi, fais moi .

Elle ne se pose jamais comme mon ennemie.

 

Il serait bien malhonnête et avare
Celui que son amante baiserait à toute heure

Et qui la voyant dans la nécessité

Ne subviendrait pas à ses besoins.

Mais cette amante n'est que pensionnaire de bordel

Et je crois qu'après vous avoir tout pris

Elle tourne son cul au premier venu

Qui se présente avec de l'or.

 

On arrive à la maison de sa Dame

Et à peine arrivé, l'entremetteuse est là

Pour l'argent et pour le savon. Puis arrive

La mère qui te demande encore plus.

La traîtresse est tellement effrontée

Qu'il te faut sortir de ta nature avare.

Alors enfin arrive la divine
Qui te baise d'abord toi, puis baise ta bourse.

 

Mon coeur, mon petit père, mon petit vieux
Si tu m'aimes, achèts moi les trente longueurs

De tissus de soie qu'aujourd'hui je veux.

Elle te baise les yeux, la bouche, le visage

De telle manière que Dieu même ne pourrait échapper;

Cela ne te sert à rien de faire mauvaise figure
Parce que ta bite qui se dresse
Veut que tu paies avec des actes ses paroles

 

Et pendant qu'elle te dévalise, te met à sac,
Elle te dit : Viens dormir avec moi , reviens bien vite

Elle te promet d'être là ce soir.

E toi, couillon, tu cours pour remplir le panier

De mille petites choses que tu achètes.

Parce qu'il te semble que ton honneur le réclame.

Mais ce que tu as acheté, c'est un autre qui le dine avec elle.

Tu restes dehors, rongeant ton frein.

 

Ayant passé quatre heures plein de rage,

Tu cours vite te parer de tes plus beaux vêtements.

Tu sors de chez toi prêt à tuer,

A bruler l'infâme dans un moment de rage et de tempête.

Pendant ce temps, toujours tu bandes.

Tu reviens donc penaud et tu fais la voix douce

L'entremmeteuse du balcon te lance : Monseigneur

Attendez un peu, montrez-vous.

 

Alors le marteau qui te travaille

T'ouvre la bourse et tu distribues les présents.
Pour finir tu restes dormir avec la demoiselle

Qui te trouve mille excuses

Pour n'avoir pu diner avec toi

Tu te dis à toi même : Salope , tu mens.

Si le Christ voulait que je ne tombe jamais amoureux

Tu verrais comment un homme devient un assassin.

 

Le matin, tu te lèves, tu envoies le valet

Pour te chercher ta veste et tu laisses dans sa maison

Des habits de luxe que tu as amené. La faquine

Fait des pieds et des mains pour te voler tout ce qu'elle peut.

Tu lui en donnes tant, tu lui envoies tant,

Que blasphémant et reniant Dieu,

Tu espères ne jamais plus la revoir

Et que d'autres viendront pourvoir à ses besoins.

 

Une coiffe que tu avais prise pour la nuit,

Tu ne la vois plus, tu ne la retouves plus.

Ta chemise, pourtant une des plus usées

Elle te la prend, comme si elle était belle et neuve.

Mon Dieu ! Que dans les bois et les grottes

Où les malandrins commettent leurs méfaits,

Tu peux aller l'or en main avec

Plus de surement qu'au milieu de ces putains.

 

A la fin : l'argent est envolé,

Le temps perdu et le déshonneur est là.

Quelle lassitude de vivre toujours désespéré,

Quelle colère, quel dépit et quelle douleur.

Avec une rancoeur semblable à celle d'un curé défroqué

Tu décides de laisser tomber ce vil Amour.

Ton esprit fou redevient sain.

Ta colère contre ta putain explose.

 

Tu lui retires les tables, les coffres, les fauteuils

Parce que tu les avais payés, toi.

Tu la gifles bien volontiers,

Et tu lui fais donner le Trente et un par des gueux.

Avec coups de fouets et des coups de bâtons,

De la main d'illustres faquins

A l'entremetteuse, à la mère

Accompagnés de risées qui montent jusqu'au ciel.

 

Les petites amourettes sont des choses ordinaires

Comme les portes toutes poisseuses.

Malheureuses, que de déboires !

Combien d'amis perdus..

O pauvrettes mendiantes, mesquines

O vilaines, scélérates, voleuses, méchantes

Croyez maintenant Venier : changez de vie,

Si non le malheur s'invite à rester à vos côtés.

 

Mais je suis bien fou de vous exhorter
Et de penser que vous pourriez devenir honnêtes.

Putains, j'ai dit du mal devous et je veux le redire :

Vous êtes voleuses, assassines et scélérates.

Vous ne pouvez continuer à voler et à trahir

Sans pitié et sans discontinuer.

Il n'y a pas d'autre remède

Il faut vous retirer cette folie de la tête.

 

Si vous deveniez femmes de bien, comme je l'ai dit,

Le jour suivant, nous tomberions malades,

Le coeur ne battrait plus dans la poitrine.

Si les putains vivaient honnêtement

Ayant honte du passé à chaque heure du jour,

Se laissant traiter de la pire façon

Nous refusant pour garder leur honneur

A la fin, nous perdrions tout amour.

 

Volez donc chacune des deux mains ;

Accumulez chaines et bijoux,

Parce que la vieillesse réduira à zéro

Tout ce qu'aujourd'hui vous avez,

Et pire encore, l'importun, le vorace

Mal français qu'un jour vous contacterez

Vous ôtera en huit jours ce que

Vous avez pris dans votre vert été.

 

Mais ce serait un plaisir de paradis

Si le mal français, qui est bien autre ccose que la toux

Vous dévorait le corps tout d'un coup.

C'est un mal qui vous ronge les nerfs et les os,

Puis les mains, les oreilles, les yeux, le visage.

Il vous mange le coeur puis vous envoie à la fosse.

Parce qu'ainsi Dieu veut que le temps prenne son temps

Pour se venger des infamies que vous avez commises.

 

Ma zaffetta, vis donc comme tu l'a fait

Jusqu'ici, ou pire encore.

Toi aussi, Putain errante, mon ennemie
Et vous autres putains, parce que je vois

Qu'il sera trop dur de vous tirer de là.

Restez assise sur votre trône de putain

Avec les vertus dont j'ai déjà parlé

Et jusqu'à la mort, chacun sera votre amant.

 

Parmi les milliers et les milliers

De putains vivant à nos dépens

J'en n'en ai connue qu'une bonne, belle

Chère, courtoise et femme de bien.

Elle s'appelait Giacoma ; native de Ferrare,

Tous l'appelaient Giacoma Ferrarese.

Pour avoir été belle, bonne et honnête,

Elle est aujourd'hui disparue.

 

Je n'ai rien d'autre à dire dont je me souvienne

Sinon que sans mauvaises langues,

Le monde serait bien ennuyeux

S'il n'y avait pas le plaisir de dire du mal,

De manger la saucisse avec les sots,

Avec les oranges, le sel et le poivre.

Médire du genre humain est chose agréable.

Divine Angela, allez donc en paix

 

Puisque le roi, le pape et l'empereur

Supportent d'être traités de couillons

De mes attaques ne soyez pas meurtrie

Et si vous l'êtes, Dieu vous le pardonnera

Moi aussi je veux ma part d'honneur.

Je suis gentilhomme disposer à vous faire des dons.

Je vins et m'inclinai pour vous faire révérence

Mais du balcon, on me congédia.

 

Notre Seigneurie écoute
Avec une grâce digne

Chaque Prince qui vient lui parler.

Grand est le siège de Venise.

Votre Altesse a cru être un mat plus grand

Que le campanile de Saint Marc

Pour porter l'étendard des putains.

Cependant vous fut donné le Trente et un.

 

FIN.